Il più grande licenziamento della storia di Marina Boscaino da Il Fatto Quotidiano, 6.3.2010 I precari sono 200 mila persone in carne e ossa, docenti e personale tecnico. Hanno 39 anni in media: troppo vecchi per rifondare la propria identità professionale, troppo giovani per arrendersi. Si tratta del maggior licenziamento di massa della storia, enormemente superiore all’affare Alitalia, in prima pagina per settimane. Riduzioni agghiaccianti: quasi 130 mila posti di lavoro, 82 mila docenti e 45 mila tecnici. C’è chi rileva con pedanteria che il totale non corrisponde a chi non lavorerà, perché una parte verrà assorbita dai pensionamenti. Dobbiamo rallegrarci? La categoria precariato è così fluttuante che non merita nemmeno un inquadramento specifico nei “meno” del saccheggio di diritti costituiti dall’operazione Gelmini-Tremonti. Duecento mila sono solo i supplenti con incarico annuale fino al 30 giugno, cui vanno aggiunti i circa cinquantamila reclutati per periodi brevi. Abile creazione del sistema per mantenere la propria immobile esistenza, prodotto da politica e amministrazione, mercificando vite e consentendo alla scuola costi bassi ma senza garanzie, il precariato ha visto il suo boom con la scolarizzazione di massa. Tra il 1960 e ’75 il concorso non riuscì soddisfare la domanda di insegnanti e così politiche economiche e amministrative stabili e condivise fecero del precariato un metodo di reclutamento ispirato dall’incapacità di concepire la scuola come luogo di cittadinanza. Non si attuò un’attenta programmazione e non si selezionò il personale in modo adeguato ai compiti richiesti dalla Costituzione: perfino per le materie in sofferenza di organico furono attuati concorsi a distanza di decenni. Le cause: indisponibilità ad affrontare i problemi di gestione del personale; mutato atteggiamento verso la spesa pubblica in istruzione. In mezzo una giungla di provvedimenti, frutto di consociativismo spinto e di dissennato e traversale disinvestimento su un modello di scuola funzionale a un mondo in continuo cambiamento. Risposte occasionali, provvisorie, “toppe” su situazioni sempre prossime a conflagrare; estemporanee decisioni condizionate da tornate elettorali o da fasi di maggiore rivendicazione da parte di chi – intanto – in una condizione di precarietà economica, lavorativa, esistenziale, mandava avanti parte della scuola italiana. Uno dei molti possibili esempi di schizofrenia politico-amministrativa è quello dell’istituzione nel 1998 delle Siss – Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario; nel 2000 è bandito un megaconcorso per accesso a cattedra e conseguimento di abilitazione; in parallelo, si dà vita a corsi riservati, rivolti a insegnanti (detti “precari storici”) con almeno 360 giorni di supplenza, ancora per l’abilitazione. Fu così abilitato un numero di insegnanti sproporzionato, che generò peraltro un’incresciosa quanto ovvia tensione tra “storici” e “sissini”. Il consociativismo ha prodotto sanatorie, stabilizzazioni ope legis, aggiustamenti di graduatorie, corsi abilitanti. In mezzo, donne e uomini per cui, anno dopo anno, la cabala si compiva nei corridoi di qualche provveditorato, in attesa di una chiamata tardiva per chissà dove, ad anno scolastico già iniziato. E non dimentichiamo gli studenti, di tutte le età, che negli anni, ogni anno, hanno visto sfilare anche 3 o 4 supplenti e per i quali la continuità didattica è stata formula suggestiva, mai praticata. “Non pagheremo noi la vostra crisi” era uno degli efficaci slogan dell’Onda. Invece quella crisi la stiamo pagando tutti. Ma loro più di tutti: studenti precari e precari precarizzati. |