A passo di gambero. di Antonio Valentino, da ScuolaOggi 17.5.2010 Un buon proposito A fine aprile sono stati presentati a Roma i documenti di lavoro per le linee guida riguardanti il primo Biennio dell’Istruzione Tecnica. Questi documenti, predisposti dal Gruppo Tecnico Nazionale (Dipartimento per l’istruzione del MIUR), si prestano a varie considerazioni. La prima, di apprezzamento. Prevedere “ un ciclo di dialogo (anche a distanza) con le scuole, finalizzato alla messa a punto del testo definitivo delle Linee Guida da sottoporre alla firma del Ministro” (Nardiello) significa partire da un assunto giusto: nessuno può pensare di fare innovazione senza coinvolgere chi queste innovazioni è chiamato a tradurle nella quotidianità dell’azione formativa. Va tuttavia rilevato che la “necessaria interlocuzione con le istituzioni scolastiche, invitate a segnalare criticità e a suggerire adattamenti, perché si possa arrivare ad una definizione condivisa della riforma”, appare una operazione in salita. E questo sia perché pesano su di essa i troppi tagli agli Istituti Superiori concentrati in un tempo eccessivamente ridotto (il prossimo anno scolastico), sia perché, oggi come oggi, manca nelle scuole , soprattutto per la mancanza di misure adeguate di motivazione e accompagnamento, una “massa critica che possa aver digerito le ragioni dei miglioramenti proposti e sia capace di farne valere senso e significatività.
E il documento “De Toni”? Una seconda considerazione viene, però, subito dopo alla mente. Chi ha seguito i vari processi legati all’”Operazione Riordino” ricorderà i risultati del Gruppo di lavoro della “Commissione De Toni” su contenuti ed esiti degli apprendimenti nell’Istruzione Tecnica. Il documento è, come si sa, del Novembre scorso. Di tale documento erano apprezzabili soprattutto tre aspetti: - l’organicità dell’impianto e la coerenza col Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione; - l’evidente tendenza a superare il disciplinarismo spinto della nostra scuola, attraverso la riproposizione di quattro fondamentali assi culturali; - la centratura dell’attività didattica sulle competenze chiave di cittadinanza (CCC), coerentemente col principio dell’equivalenza formativa (che non significa, ovviamente, stessi percorsi o stessi contenuti) dei vari bienni del sistema di istruzione superiore. L’approccio alle competenze, attraverso la proposizione di abilità e conoscenze coerenti e lineari, essenziali e realmente innovative, e l’orizzonte culturale europeo in cui si collocavano, rappresentava un segnale importante per quanti pensano che un rinnovamento della nostra scuola è ancora possibile.
Passano sei mesi. Nel frattempo i Regolamenti del Riordino diventano disposizioni normative. Si accendono polemiche astiose e fuori del tempo tra il partito delle competenze e quello delle conoscenze. Quest’ultimo è ben insediato nell’entourage del ministro. Si varano i “programmi” dei Licei: prima prova lampante di un ritorno all’indietro che lascia basiti. Il partito della “theoria” riprende il sopravvento. E arriviamo al documento proposto dal Gruppo Tecnico del Dipartimento Miur per l’Istruzione. Che è riscrittura pressoché totale del documento di novembre. E uno si chiede perché. Si cancella ogni riferimento all’innalzamento dell’obbligo di istruzione e ai risultati di apprendimento lì descritti in coerenza con le CCC (che, come si sa, erano mutuate in misura prevalente dalle Competenze Chiave per l’apprendimento permanente, di cui alla Raccomandazione del 2006 del Parlamento Europeo). L’unico riferimento alla Raccomandazione del Parlamento Europeo contenuto nella recente proposta del Gruppo Tecnico è del tutto incongruo. Pensate: il compito di sviluppare le CCC della Raccomandazione europea, viene affidato unicamente (questo almeno si arguisce dal testo) alle attività e insegnamenti relativi a “Cittadinanza e Costituzione” (che, tra l’altro, per l’Istruzione tecnica e professionale, non viene neanche citata tra i percorsi formativi previsti). Sinceramente, non si sa che cosa pensare. O forse ci è sfuggito qualcosa.
Nel merito Una terza considerazione riguarda il merito delle proposte avanzate nel documento citato. I Materiali sul biennio prodotti negli scorsi anni (il documento Tecnico del Regolamento per il nuovo obbligo e quello del novembre scorso) mettevano bene in evidenza il collegamento coerente ed organico tra competenze, abilità, conoscenze. Qui, invece, le tre articolazione dei risultati di apprendimento si muovono, per così dire, in ordine sparso. E’ in ogni caso molto difficoltoso individuare collegamenti e unitarietà di proposta formativa negli elenchi indicati sotto le tre voci. La nota metodologica poi è, generalmente, un bla bla tanto pretenzioso nel lessico quanto generico nelle proposte, che spesso si configurano come suggerimenti invadenti, spesso accademici, astratti, a volte banali e comunque, nella maggior parte dei casi, privi di gambe per camminare. Forse il problema è nel manico, come avrebbe detto Norberto Bobbio. Infatti: perché le Linee Guida? Probabilmente nel nostro caso si rendono necessarie perché gli allegati dei Regolamenti non delineano in modo chiaro e preciso i traguardi formativi (i risultati in uscita) dei tre ordini dell’istruzione superiore. Comunque, una maggiore chiarezza, essenzialità e sobrietà - e rispetto per l’autonomia didattica e organizzativa degli insegnanti – dovrebbero essere indicatori fondamentali nella definizione delle line guida. Si legga al riguardo la nota metodologica per Lingua e Letteratura Italiana, con i suggerimenti all’insegnante perché “progetti e programmi (…) anche in prospettiva interculturale”, con i “richiami al parallelo sviluppo delle arti visive e musicali, della drammaturgia e del cinema”. Ovviamente “utilizzando anche strumenti digitali e della comunicazione audiovisiva ed evidenziando le potenzialità espressive dei prodotti multimediali”. Non riesco a immaginare cosa direbbero i miei insegnanti di Italiano del Biennio, se prospettassi loro queste linee guida per i loro percorsi formativi. Minimo, mi toglierebbero il saluto. E prima ancora della nota metodologica, risultano legate a logiche passatiste gran parte delle articolazioni proposte per le conoscenze e le abilità da promuovere con questo insegnamento. Si confrontino queste indicazioni con quelle del documento di novembre per cogliere una direzione di marcia che non aiuta certo la motivazione e il coinvolgimento dei docenti. Gli stessi limiti, forse anche più vistosi, si riscontrano per tutti gli altri insegnamenti. Esemplari, in questo senso, le scelte per l’Inglese.
Annotazioni conclusive Ancora due annotazioni. La prima sulle scienze integrate. Apprezzabili le cose che, nel Seminario, ha detto De Toni, per il quale le Scienze integrate, “non vanno intese come una nuova disciplina, nella quale si fondono discipline diverse, ma come l’ambito di sviluppo e di applicazione di una comune metodologia di insegnamento delle scienze, capace di ricondurre il processo di apprendimento verso lo studio della complessità del mondo naturale” Mi chiedo però se questa definizione, corretta in una tavola specialistica dei saperi scientifici (qui parliamo di Scienze e Biologia, Chimica e Fisica), possa essere applicata rigidamente a ragazzi di 14-15 anni (stiamo parlando del primo biennio delle Superiori). Per i quali, non solo metodologie comuni, ma anche saperi integrati - in rapporto a progetti didattici - dovrebbero caratterizzare percorsi formativi per campi di conoscenze contigue e affini. E, conseguentemente, se la nozione di Scienze integrate non debba anche prevedere accorpamenti funzionali (per esempio: tra Scienze e Biologia; tra Fisica e Chimica). E ciò al fine non solo di superare separatezze disciplinari verosimilmente insensate e sbagliate per questa fascia di studenti, ma anche di favorire una organizzazione della didattica meno frantumata (insegnanti che non sempre riescono a parlare tra di loro e collocazione oraria spesso, per forza di cose, disastrosa). Sappiamo che, al riguardo, ci sono resistenze tra gli insegnanti delle materie scientifiche (il riferimento è a chimica e fisica), la cui preparazione universitaria è tale che un insegnamento integrato creerebbe grosse difficoltà. Però una riforma degna di questo nome dovrebbe guardare a ciò che è meglio per la formazione dello studente e operare scelte conseguenti. Anche perché la nostra scuola, al riguardo, non parte da zero. L’esperienza di “Lab di chimica –fisica”, nel liceo scientifico tecnologico e in tante sperimentazioni, non ha forse rappresentato, in molti casi, una pagina positiva e interessante della storia della nostra scuola? Certo, vanno ridefinite le competenze professionali e occorre mettere gli insegnanti nelle condizioni di affrontare con serenità e opportuni riconoscimenti questa prova. Perciò in tanti si è portati a ritenere che l’integrazione delle scienze non possa essere ridotta al solo – per quanto importante – aspetto metodologico.
La seconda annotazione riguarda il nuovo insegnamento di “Scienze e tecnologie applicate”. Anche qui le indicazioni metodologiche delle schede di lavoro proposte presentano molti spunti apprezzabili. Ad esempio l’avere definito con molta nettezza che lo scopo di questo insegnamento è di “orientare lo studente alla scelta definitiva dell’indirizzo e dell’articolazione, in stretta collaborazione con le altre discipline del biennio” e che “le abilità e le conoscenze apprese nei bienni dei diversi indirizzi (…) abbiano un elevato grado di trasversalità per dare allo studente una visione più ampia”. Affermazioni condivisibili. Ritengo però che la dimensione orientativa non debba essere l’unica a caratterizzare il nuovo biennio. Ritengo – e le esperienze più serie condotte in alcune sperimentazioni stanno a dimostrarlo – che una sensata propedeuticità metta più chiaramente alla prova lo studente (i suoi interessi, le sue attitudini) e lo motivi maggiormente. Sensata significa che i percorsi devono rendere evidente cosa caratterizza un indirizzo rispetto a un altro, attraverso opportune esperienze che mirino a evidenziare eventuali affinità e specificità (di linguaggio, di metodi, di oggetti conoscitivi) tra indirizzi della stessa area presenti nell’istituto. Così che lo studente sappia, alla fine del percorso, non solo cosa caratterizza l’indirizzo scelto e il suo lessico fondamentale, ma anche cosa richiede in termini d’impegno e cosa aspettarsi dal corso di studio intrapreso. Ma sensato significa anche: - la possibilità di passaggi nel corso dell’anno (o anche agli inizi del terzo anno), a seguito di ripensamenti e nuove consapevolezze. E conseguenti iniziative da mettere in campo, da parte delle scuole, per rendere possibili riallineamenti (ovviamente, responsabilizzanti e non generici) rispetto agli altri studenti del corso; - la previsione obbligata di iniziative di orientamento / riorientamento, nelle prime classi, volti o a motivare ulteriormente rispetto a convinzioni già maturate o a sviluppare nuove consapevolezze (e quindi scelte eventualmente diverse).
|