L'ora di religione discrimina ancora di Dedalus, da ScuolaOggi 14.5.2010 Rendere implicitamente obbligatorio il facoltativo. Trasformare una libera scelta in una convenienza. Gratificare chi opta per l’ora di religione di una condizione di vantaggio rispetto a chi, per le più diverse ragioni, decide di non avvalersene". Non sono, queste, parole nostre. Ad esprimere un giudizio così netto e pesante nei confronti della recente sentenza del Consiglio di Stato è Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della sera, considerato un giornalista moderato e nient’affatto rivoluzionario o anticlericale ("La religione a scuola fa media: che errore", 13 maggio 2010). E il sottotitolo dell’articolo è ancora più esplicito. "Il verdetto del Consiglio di Stato danneggia gli studenti che non scelgono religione". Già, perché di questo si tratta. La sentenza del Consiglio di Stato, ribaltando un precedente orientamento del TAR del Lazio (vedi lo scritto di Dedalus in Scuolaoggi) stabilisce il principio che l’ora di religione può dare "crediti" a chi se ne avvale. Gli stessi criteri sono applicati, in una sorta di afflato egualitario del Consiglio, alle "attività alternative all’IRC". Nella situazione attuale un inutile equilibrismo, in quanto è risaputo che corsi "alternativi" veri e propri in realtà non vengono quasi mai offerti dalle scuole, o per motivi organizzativi (i docenti che dovrebbero tenerli vengono utilizzati altrimenti, per supplenze, ecc. il numero degli alunni è scarso, ecc.) o perché vengono ignorati e di fatto non realizzati. Tra l'altro il provvedimento cade alla fine dell’anno scolastico, alla vigilia degli esami di maturità. E così ha ragione Battista, quando scrive che in questo modo "si confinerà l’ora di religione in un’enclave privilegiata". E’ evidente che la scelta dell’insegnamento della religione cattolica precostituirà un vantaggio per chi se ne avvale e quindi in un certo senso potrà rappresentare un elemento di condizionamento. Non tanto per chi non opta per l’IRC perché appartenente ad altre confessioni religiose o per una convinta scelta laica, ma per quegli studenti che semplicemente non sono "interessati" (a Milano il 40% degli studenti delle superiori decide di non fare religione…). In questo senso questa sentenza introduce di fatto una sorta di discriminazione. Il vero problema, alla radice di tutta questa vicenda (religione cattolica e/o attività alternative), sta ancora una volta nella collocazione di un insegnamento - quello della religione cattolica - all’interno dell’orario scolastico. L’ambiguità sta nel fatto che l’insegnamento della religione cattolica nel nostro sistema scolastico è facoltativo (la facoltatività consiste, com’è noto, nella possibilità da parte delle famiglie o degli studenti di avvalersene o meno) e però tale insegnamento è incardinato nell’orario obbligatorio delle lezioni. La contraddizione, come abbiamo già rilevato altre volte su questo giornale, sta tutta qui. E da qui nascono le discriminazioni, le diseguaglianze (lamentate giustamente da altre chiese o confessioni religiose), e tutto il corredo di polemiche che ne derivano. Perché allora non storia delle religioni, come da più parti da tempo si propone? Restiamo del parere che, con tutto il rispetto per la tradizione cattolica del nostro paese, l’insegnamento di una confessione religiosa (qualunque essa sia) spetta alla Chiesa, in altre sedi e luoghi e non alla scuola pubblica di Stato. Per un elementare principio di laicità. Principio che invece è costantemente messo in discussione e non rispettato. Dedalus
NOTA A MARGINE DI
FABRIZIO DACREMA La sentenza del Consiglio di Stato del 7 maggio 2010 annulla la sentenza del TAR Lazio del luglio scorso che aveva dichiarato illegittima l’attribuzione del credito scolastico (*) da parte dei docenti di religione cattolica. Secondo il Tar Lazio l’attribuzione di un credito specifico agli alunni che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica avrebbe dato luogo ad una discriminazione nei confronti di coloro che non si avvalgono di tale insegnamento, ma nel loro pieno diritto non scelgono alcuna attività. Il Consiglio di Stato, pur tenendo conto dello "stato di non obbligo" stabilito dalla Corte Costituzionale per i non avvalentisi, nega l’esistenza di discriminazioni sostenendo in modo non del tutto conseguente che gli studenti che non si avvalgono né dell’insegnamento della religione cattolica, né delle attività alternative possono comunque conseguire il massimo del credito scolastico attraverso la positiva valutazione di altre attività. La sentenza peraltro ribadisce che l’insegnamento delle religione cattolica non dà luogo a voti. Inoltre il Consiglio di Stato afferma con forza che l’istituzione in ogni scuola dell’attività alternativa "deve considerarsi obbligatoria per la scuola" perché "la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o della famiglia". Ne consegue un duro ammonimento al Ministro Gelmini perché, come constata anche il Consiglio di Stato, "in molte scuole gli insegnamenti alternativi all’ora di religione non sono attivati, lasciando così agli studenti che non intendono avvalersi come unica alternativa quella di non svolgere alcuna attività didattica". Inutile aggiungere che i tagli in corso stanno pesantemente aggravando questa situazione di sostanziale discriminazione nei confronti degli alunni e delle famiglie che esercitano il diritto di non avvalersi di un insegnamento confessionale. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato studenti e famiglie possono rivendicare con maggior forza l’istituzione della attività alternative, essenziali per garantire la laicità della scuola.
(*) Il credito scolastico, disciplinato dall’art. 11 del D.P.R. 323/1998 prevede che il consiglio di classe attribuisca ad ogni alunno nello scrutinio finale degli ultimi tre anni della scuola secondaria superiore un apposito punteggio per l’andamento degli studi. Il punto di partenza per l’attribuzione del credito scolastico è la media dei voti nelle diverse discipline (con esclusione materie facoltative: religione o attività alternativa) a cui si aggiungono, nel limite massimo di 1 punto su 10, la valutazione di altri aspetti altri aspetti della partecipazione alla vita scolastica: assiduità di frequenza, interesse e impegno nella partecipazione, attività complementari e integrative, eventuali altri crediti formativi. Il Ministro Fioroni ha allargato questi aspetti alla valutazione dell’interesse col quale lo studente ha seguito l’insegnamento della religione cattolica, ovvero le attività alternative, ivi compreso lo studio individuale. Il credito scolastico incide sulla votazione finale degli esami finali, perché la somma dei punteggi di credito scolastico ottenuti nei tre anni si aggiunge ai punteggi delle prove scritte e orali. Il Tar Lazio aveva accolti i ricorsi presentati da alcuni studenti con il supporto di associazioni laiche e confessioni religiose, ora la sentenza del Consiglio di Stato annulla quella del Tar. (a cura di Fabrizio Dacrema) |