Formazione e lavoro, in Italia di A.G. La Tecnica della Scuola, 16.6.2010 In base al 'Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro', firmato dai ministri Sacconi e Gelmini, il tasso di disoccupazione dei laureati under 34 anni è dell'11,2%. Tra i diplomati dell'8%, con maggiori chance per chi ha fatto tecnici e professionali. Rischia più di tutti chi si ferma alla licenza media, anche perché i contratti di apprendistato sono in calo. Mentre in Europa il conseguimento della laurea rappresenta un passepartout importante per trovare lavoro, l’Italia si contraddistingue per un andamento anomalo. Nella nostra penisola, infatti, diploma sembra contare più del titolo di “dottore”: leggendo il 'Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro', firmato dai ministri del Welfare, Maurizio Sacconi, e dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, si scopre che il tasso di disoccupazione per i laureati italiani tra i 25 e i 34 anni risulta pari all'11,2%. Mentre quello dei diplomati è dell'8%. L'Italia è "l'unico paese europeo – si legge nel documento - in cui il tasso di disoccupazione dei giovani laureati maschi è maggiore di quello dei coetanei con un livello di istruzione inferiore, in quanto il vantaggio della formazione risulta evidente solo con il passare degli anni". Ma c'è di più: "Tra i diplomati che hanno trovato un lavoro dopo tre anni dal conseguimento del diploma circa l'83% di quelli provenienti dagli istituti professionali e da quelli tecnici ha trovato un lavoro a tempo pieno, rispetto al 50% dei liceali. Inoltre questi ragazzi hanno maggiori probabilità di avere retribuzioni più elevate: oltre il 42% guadagna più di mille euro". Il testo interministeriale, arricchito di una parte dedicata ai 'Giovani tra scuola, università e lavoro', e consegnato il 16 giugno a Regioni e parti sociali, nel corso degli incontri al ministero del Lavoro su ammortizzatori sociali e formazione, contiene anche altri dati interessanti: il primo è quello della sensibile diminuzione dei contratti di apprendistato registrata nel 2009: da 645.986 dell’anno precedente, sono crollati a 567.842 facendo registrare una diminuzione di ben 78.144 unità (oltre il 12%). "È quindi nostra intenzione – spiegano nel documento Sacconi e Gelmini - sostenere e premiare le iniziative che le università vorranno intraprendere per sviluppare progetti di innovazione didattica che sappiano cogliere questa grande opportunità". In sostanza, la direzione che il Governo intende prendere è quella di passare ad una "maggiore valorizzazione della componente della formazione aziendale" e ad un "maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della bilateralità. Gli sforzi delle Regioni dovrebbero concentrarsi per contro sul rilancio dell'apprendistato per il diritto-dovere e per l'acquisizione di un diploma o di un titolo di studio universitario". I due ministri ritengono quindi che è giunto il momento di rilanciare il contratto di apprendistato, perchè "nella stragrande maggioranza dei casi continua a rimanere un semplice contratto di lavoro temporaneo senza alcuna valorizzazione della componente formativa pure astrattamente prevista e, anzi, indicata dalla legge come elemento caratterizzante del modello contrattuale in questione". La maggioranza in Parlamento ha voluto dare spinta in questa direzione approvando nel marzo scorso la norma che prevede la possibilità di firmare un contratto di apprendistato nell’ultimo anno di scuola dell’obbligo, quindi già a 15 anni. Anche perché spesso si tratta di ragazzi destinati ad abbandonare precocemente la scuola. Ed il cui destino in diversi casi appare segnato: tanto che oggi il 23,7% dei disoccupati ha conseguito la sola licenza media. |