università

La riforma Gelmini mette
a rischio la cultura italiana

E I difetti di una riforma universitaria che aggrava i problemi Spariscono i Dipartimenti di Italianistica e di Filologia Cioè le cellule elementari della nostra vita letteraria e linguistica

Alberto Asor Rosa la Repubblica 11.6.2010

L'intervento di Ivano Dionigi, Rettore dell'Università di Bologna, sul progetto di riforma universitaria in discussione alle Camere in queste settimane, è prezioso da molti punti di vista ma innanzitutto perché uno degli attori istituzionali più importanti di questa vicenda accetta di discutere in pubblico (come sarebbe stato giusto fin dall'inizio) le "segrete cose". Nel merito non sono però d'accordo con lui (quasi) su niente, e cercherò di dirlo sinteticamente.

1) Dal DPR 382 sono passati esattamente trent'anni. Nulla di più ragionevole che affrontarne la revisione. La legge Gelmini pone però in capo a tutto un fattore quantitativo: e cioè che ai Dipartimenti afferiscano un numero di professori non inferiore a trentacinque, che sale a quarantacinque in quegli Atenei in cui il numero dei professori superi le mille unità. Questa misura, di mero risparmio economico e che prescinde dal merito, e dunque iugulatoria dell'autonomia universitaria, non è stata minimamente contestata dai Rettori, i quali se mai ("Sapienza" di Roma), con singolare estremismo, portano il limite minimo consentito a cinquantacinque-sessanta. Queste misure colpiscono soprattutto (ma non solo) l'area umanistica; non vedo però perché proprio in Italia non si possa tener conto del fatto che un solo modello organizzativo-scientifico non vale per tutte le situazioni.

2) Ben prima della discussione della legge, è partita una frenetica corsa agli accorpamenti. Faccio qualche esempio (dai quali Dionigi si astiene). In negativo: penso che in tutte le nostre Università spariscano i Dipartimenti di Italianistica e, quasi dovunque, i Dipartimenti di Filologia classica e Filologia romanza: spariscono cioè le cellule elementari della nostra storia e identità, culturale, letteraria e linguistica.

3) Per andare al "positivo", bisogna prendere in considerazione un altro elemento della riforma: l'attribuzione ai Dipartimenti, oltre che delle funzioni di ricerca, anche di quelle didattiche. Ricerca e didattica sono congiunte, come osserva Dionigi: si tratta di vedere come. Quando le dimensioni degli accorpamenti superano il perimetro di una ragionevole specificità disciplinare o interdisciplinare, – e ciò avviene assai spesso, – essi producono organismi che non sono Dipartimenti più grandi, ma Corsi di studio, ovvero di Laurea. Le specificità disciplinari o interdisciplinari spariscono nel mucchio, o si inabissano (almeno si spera) nelle scelte individuali dei singoli docenti. Resta il riaccorpamento organizzativo di unità diverse, che possono dar luogo, alla fine e in un modo qualsiasi, a un titolo di studio (Storia, Filosofia, Lingue, Lettere moderne, Lettere antiche, talvolta Lettere antiche e moderne, ecc.). Quando non c'è neanche questo è persino peggio: gli accorpamenti appaiono puramente pretestuosi, e spesso persino risibili. Insomma: semplificare, concentrare, abolire, unificare, soprattutto risparmiare.

4) Si tratta di una tendenza drammatica, di cui neanche il centrosinistra mostra di essersi accorto. Forse perché, se la legge Berlinguer del tre più due ha aperto la strada alla licealizzazione dell'Università italiana, quella Gelmini ne scuote le fondamenta, mettendone in discussione il ruolo di sede privilegiata della ricerca.

5) Cosa c'è sull'altro piatto della bilancia secondo Dionigi? I fondi per avviare negli Atenei un processo di "meritocrazia". Per dire che la riforma Gelmini è davvero "buona", i Rettori aspettano di vedere se il Fondo di Finanziamento Ordinario sarà "almeno" quello degli anni precedenti e se verrà attribuito agli Atenei il promesso incremento meritocratico del 7% (!). Facile aspettarsi, nelle attuali condizioni economiche del Paese, che né l'una né l'altra aspettativa verrà soddisfatta. Ma anche se lo fosse, cosa fare di quei fondi se, non, semplicemente, tirare avanti in un deserto di rovine?