Vite da docenti di Stefano Miliani da l'Unità, 13.6.2010 Ha poco meno di 50 anni, un fisico asciutto, se deve scegliere tra un libro e una pizza, e ormai deve scegliere, preferisce investire nell’istruzione per i due figli, lavora da quando ha 16 anni, dopo quasi 30 è ancora precaria e l’amarezza le cresce soprattutto «perché ai nostri figli non lasciamo un futuro». Roberta Giulia Nelli sfila nel corteo della Cgil in un drappello dall’Emilia Romagna, viene da Cesena e la sua esperienza somiglia a un tourbillon infinito: «Dieci anni nella scuola primaria, otto nella materna, otto nell’asilo nido, tre nelle superiori: mi sono laureata molto presto, ho iniziato a lavorare prestissimo anche per pagarmi gli studi, ho un padre operaio e sono molto arrabbiata. Come insegnante e come genitore con due ragazzi che vanno a scuola». Il diciassettenne frequenta il liceo, il più piccolo, 12 anni, le medie. «E ho un nipote che per ragioni familiari seguo io e che studia alla Sorbona a Parigi. Grazie a borse di studio francesi, non italiane. È un paradosso. La Francia investe su di lui, l’Italia no. Ho dovuto suggerirgli di non tornare: qua non ci sono speranze per lui». «1200 euro al mese: ecco quanto guadagno dopo tanti anni. E so che non vedrò mai la pensione. Per fortuna mio marito ha il suo lavoro e non dobbiamo pagare l’affitto, la casa è nostra, perché arriviamo a malapena a fine mese. Un ristorante? Una volta ogni sei mesi, al massimo. Pazienza. Preferisco di gran lunga un libro per uno dei miei figli, è più importante. Scegliere è indispensabile». Roberta Giulia Nelli non si sente però abbattuta. Piuttosto delusa, amareggiata. Arrabbiata, specialmente arrabbiata. «Ora insegno alla scuola primaria, alla Salvo d’Acquisto: per due classi e un totale di 38 allievi eravamo addirittura sette insegnanti a ruotare». Rispetto a tanti colleghi dice che lei se la passa almeno meglio di molti. «Ho colleghi che sono alla disperazione». Non è soltanto arrabbiata. Da questo governo non si aspetta molto. «Mi aspetto un movimento forte dalla sinistra, non ci possiamo più permettere divisioni che vanno messe da parte. Non è un eufemismo dire che siamo in mutande». La situazione è drammatica. «Riducano i parlamentari, riducano l’apparato della politica, tolgano poltrone, non possiamo più permettercelo. Noi insegnanti siamo molti, ma vedete quanto guadagniamo. Il che vale anche per i docenti di ruolo». Come Patrizia Martina, di Corbia (Novara): posto fisso a scuola da 30 anni, 1.500 euro al mese «con la fortuna di avere due figlie grandi che lavorano, altrimenti mio marito e io come facevamo?» Non è soltanto una questione di stipendi. La professoressa di Cesena manifesta in un gruppetto alla cui testa qualcuno indossa una maglietta scura con un acrostico efficace. Sotto la qualifica di «Docenti» si legge «Precari» e a ogni lettera corrisponde una definizione: «Professionisti, Radiati, Esasperati, Cancellati, Annullati, Raggirati, Ignorati». «Siamo professionisti ma - conclude Roberta Giulia Nelli - oggi la scuola è considerata meno di zero». |