Niente formazione di Stefano Pozzo Il Sole 24 Ore, 21.6.2010 Tra le spese tagliate dalla manovra a partire dal prossimo anno ci sono anche quelle per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, che devono essere ridotte al 20% rispetto all'anno passato. Già ora a queste attività sono destinati, ingiustamente, pochi spiccioli, anche quando le iniziative di comunicazione sono essenziali. Addirittura, dal 1° luglio chi vuole fare qualche iniziativa dovrà chiedere il permesso al ministero competente, con la sola eccezione di università ed enti di ricerca. Stesso destino per le spese di consulenza, ridotte dell'80% «al fine di valorizzare le professionalità interne». Ma la normativa previgente, che a parte gli importi viene confermata, non partiva già dal presupposto di legge che si potesse ricorrere ai consulenti solo quando si sia verificato la assenza di idoneo know how? Il Dl 78/2010 comunque punta a valorizzare il personale interno, cosa necessaria in tutte le imprese di servizi e quindi anche nella pubblica amministrazione. In un decreto legge orientato a questo obiettivo, ci si aspetta un conseguente sforzo per arricchire tali competenze interne. Difficile comprendere, allora, il taglio del 50% alle spese di formazione, con vincoli tali da rendere pressoché impossibile impiegare anche queste poche risorse. È fatto obbligo, infatti, non sono di tagliare, ma anche di rivolgersi «prioritariamente» alla «Scuola superiore di pubblica amministrazione» o ai «propri organismi di formazione». Cosa vuol dire rivolgersi prioritariamente? Che se un comune vuole mandare due persone ad un corso deve prima sentire se la Scuola fa qualcosa di analogo? E chi non ha un proprio organismo di formazione cosa deve fare? Una norma di fatto inapplicabile per gli enti locali, per i quali l'unica strada sarebbe quella di creare società strumentali, di fatto vietate per i comuni fino a 50mila abitanti. Tra le tante perplessità sollevate da queste norme, la prima è di ordine costituzionale. Se è legittimo che la norma ponga dei vincoli di finanza pubblica su determinate voci di spesa, altrettanto non si può dire del limitare per legge la scelta dei fornitori. La Costituzione tutela la libera concorrenza, e a questo si ispirano le regole ormai definite sugli appalti di beni e servizi. Che compatibilità trova con esse una norma che vuole obbligare gli enti pubblici a rivolgersi, proprio per la formazione, a determinati fornitori? L'effetto immediato (ma è auspicabile che il Parlamento e l'Antitrust intervengano) sarà quello di distruggere il tessuto di imprese di formazione private che hanno focalizzato il loro business proprio sulla pubblica amministrazione, a cui la norma vieta oggi anche il diritto all'esistenza. La conseguenza sarà un mercato della formazione pubblica meno libero e fatto di nuovi monopoli pubblici. |