Università, saranno gli studenti
Il Consiglio nazionale dà il via libera ai
"progress test" di Anna Maria Sersale da Il Messaggero, 4.1.2010 ROMA (4 gennaio) - Sui “premi” sono tutti d’accordo. L’Università italiana ha ingoiato il boccone amaro e ha capito che l’era dei finanziamenti a pioggia è inesorabilmente archiviata. A luglio dello scorso anno, però, quando è arrivata la lista dei “buoni” e dei “cattivi” la maggior parte degli atenei è insorta. Sono stati contestati i criteri. Così il ministro Mariastella Gelmini ha messo all’opera un suo staff e il Consiglio universitario nazionale. Saranno adottati nuovi parametri. Tra questi il “progress test” per gli studenti. Sarà uno dei più importanti: obbligatorio ogni anno, di livello nazionale, quindi uguale per tutti a seconda del corso di laurea frequentato. «Servirà non a valutare il singolo studente, ma la didattica degli atenei, quindi l’efficacia dei corsi e dell’insegnamento», spiega Andrea Lenzi, presidente del Cun, il Consiglio universitario. «I test permetteranno la valutazione della qualità in modo abbastanza oggettivo - sostiene ancora Lenzi - Le facoltà di medicina, per esempio, li hanno adottati da anni e funzionano». Seguire il percorso accademico degli studenti, dunque, contribuirà a determinare l’eccellenza o meno dei singoli atenei. Il “quizzone” avrà un duplice effetto: valutare se la didattica di un ateneo funziona ma anche evitare che gli atenei regalino voti. Già, perché un altro dei parametri che servirà a stilare la classifica sarà legato al numero dei laureati. Senza un controllo dei livelli di preparazione gli atenei, come è accaduto alcune volte in passato, potrebbero essere spinti a troppa indulgenza, insomma a essere larghi di manica. Da qui l’importanza dei test nazionali e per tutti i corsi di laurea. Ma in che cosa consiste il progress test? “Prevede la diffusione di un questionario, cosa che verrà gestita a livello centrale, dal ministero. Lo scopo è quello di sondare le conoscenze dei ragazzi, in un dato momento, per esempio al terzo anno di corso”. Il lavoro ciclopico dei quiz molto probabilmente sarà affidato al Cineca, organizzazione che già gestisce la distribuzione dei compiti della maturità. Ma non sono escluse altri ipotesi. In altri Paesi il sistema è in uso e potrebbe funzionare anche da noi. D’altra parte una svolta è necessaria. Il ministro vuole innalzare la quota di finanziamento legato al merito, fino al 20-25%, lo ha dichiarato in una intervista al Messaggero pochi mesi fa. Dovrà farlo in un clima di maggiore consenso. «Però i criteri devono essere chiari e condivisi, lo spirito non può essere quello del bastone e della carota, dando più soldi a chi sta già meglio e meno a chi è in difficoltà», più o meno questo il senso della protesta quando in luglio uscì la classifica per distribuire i “premi”, in tutto 500 milioni di euro. «L’altra volta con indicatori fasulli sono stati commessi degli errori, occorrono regole chiare e trasparenti», Luigi Frati, rettore della Sapienza, ancora oggi protesta. «Se no - aggiunge - si rischia di fregare molte università. Il ministro dovrebbe fare lo sforzo di attivare l’Anvur, l’Agenzia preposta alla valutazione, che ancora non decolla». Nel 2009 per la prima volta il 7% del fondo del finanziamento destinato alle università è stato assegnato sulla base del “merito” secondo parametri decisi dal ministero. Prima dell’estate dovrà uscire una seconda classifica degli atenei. Il clima è già caldo. Anche perché ci sono professori che rifiutano totalmente il principio: «Non si possono punire i singoli perché il loro ateneo va male, la scelta di ripartire una quota dello stanziamento sulla base del merito è inefficiente e sbagliata. Inefficiente perché incentiva i singoli a impegnarsi di meno, soprattutto quelli delle università che sono “in basso” perché anche dai privati ricevono meno». La volta scorsa uno dei parametri più contestati è stato quello delle “citazioni” scientifiche su riviste accreditate. Più un’università aveva pubblicazioni citate, più era considerata importante. Con il progress test si può introdurre un criterio più oggettivo? «Anche le citazioni vanno bene, ma il sistema dei test è imprescindibile - afferma ancora Frati, rettore della Sapienza - Le facoltà di medicina di tutta Italia hanno fatto scuola. Utilizzano i test da quindici anni, collegandosi ad un network internazionale, di cui fanno parte 40 università, 20 sono italiane. In medicina il quiz si fa al terzo e al sesto anno. Un esempio? Al terzo chiediamo di abbozzare una diagnosi su una patologia semplice, del tipo: se i globuli rossi diminuiscono e manca il ferro che tipo di anemia è? E così via, per verificare se mettono in correlazione la teoria con il quadro patologico. Al sesto anno si fanno domande molto più complesse. Poi si confrontano i dati, è molto utile. Ma l’ho già detto al ministro, uno dei criteri per stabilire chi merita e chi no dovrebbe essere quello dell’indebitamento. E’ un criterio utilizzatissimo in altri Paesi ed è indiscutibilmente oggettivo. Non si capisce perché da noi ci sia una grande resistenza ad adottarlo. L’altro criterio, che spero entri a fare parte della griglia, dovrebbe riguardare il lavoro dei laureati. A uno anno o più dal titolo dovremmo controllare quanti lavorano e con quale “coerenza” rispetto al titolo conseguito”. |