In 500mila al debutto nella nuova scuola

di Gianni Trovati da Il Sole 24 Ore, 11.1.2010

Il porto è in vista, e anche gli ultimi scogli burocratici sembrano in via di superamento. A settembre, insomma, dovrebbero debuttare le nuove superiori, e nelle prossime settimane i 550mila ragazzi che a giugno chiuderanno per sempre i libri delle scuole medie e le loro famiglie sono chiamati a una scelta inedita: i ricordi da studente di genitori e fratelli maggiori saranno di scarso aiuto, e per decidere qual è la strada giusta verso il futuro (non solo) professionale migliore è il caso di informarsi sui nuovi programmi di studio. Il tempo stringe, perché la scelta va fatta entro fine febbraio e anche la probabile proroga non si spingerà più in là di marzo.

Avventurarsi in terre incognite non è mai un compito facile, ma chi arriva quest'anno di fronte al bivio delle superiori può consolarsi con la robusta dose di semplificazione introdotta dalla riforma in un'offerta formativa che negli ultimi anni si è prodigata in sperimentazioni sempre più fantasiose. La nuova architettura cerca di non buttare via la ricchezza di queste esperienze, ma la inserisce in una mappa logica che dovrebbe aiutare anche studenti e famiglie a prendere decisioni più concrete e meno soggette al fascino di un nome o una materia. Chi pensa agli istituti tecnici, per esempio, non sarà più costretto a pescare la carta giusta nel mazzo di 39 percorsi diversi, articolati in più di 200 curricula, ma dovrà prima di tutto stabilire se è più interessato all'economia o alla tecnologia, e a quel punto scegliere fra i due indirizzi del primo settore o fra i nove del secondo. Anche la cartina dell'istruzione professionale guadagna decisamente in chiarezza, distinguendosi in due grandi famiglie (industria e servizi) e articolando in cinque indirizzi solo il secondo gruppo. Si allarga invece la casa dei licei, che accoglie il liceo delle scienze umane (sostituto delle vecchie magistrali) e quello musicale e coreutico, mentre ristruttura profondamente il liceo artistico assorbendo in tre indirizzi anche i vecchi istituti d'arte e la giungla di sperimentazioni nate da quelle parti.

La razionalizzazione dei percorsi non è l'unico tratto comune della scuola riformata, che esce dalla cura Gelmini con quattro parole d'ordine valide per tutti i curricula: più inglese, più matematica e scienze, più flessibilità nelle scelte didattiche e più apertura nei confronti degli "output" elettivi dei vari indirizzi, cioè le imprese e le professioni nel caso degli istituti tecnici e professionali e le università per i licei. Il rafforzamento di matematica, scienze e lingua straniera interviene direttamente nei quadri orari delle materie obbligatorie per i vari indirizzi; la lingua straniera, in particolare, guadagna ore, si estende a tutti i cinque anni anche negli indirizzi che ancora non lo prevedevano (è il caso del liceo classico, che al netto delle varie sperimentazioni è ancora formato sull'impostazione gentiliana del 1923) e soprattutto prova a uscire dal recinto esclusivo delle discipline linguistiche. Sia nei licei sia negli istituti tecnici, infatti, la riforma prevede la possibilità di insegnare in lingua straniera (soprattutto in inglese, ovviamente) anche una disciplina non linguistica, abituando così gli studenti a utilizzare la lingua nella sua funzione naturale, cioè quella di strumento per trasmettere conoscenze e informazioni. L'intenzione è buona, anche se la scuola italiana è un mondo complicato e per giudicare un progetto è indispensabile prima osservarne le prove concrete sul campo: su questa ventata di internazionalizzazione le incognite nascono dal fatto che le nuove frontiere dell'inglese devono essere raggiunte, come precisa la riforma, «nei limiti del contingente di organico» assegnato alle scuole. In epoca di tagli, la notazione non è affatto oziosa e c'è chi teme che in qualche caso, a partire proprio dal liceo classico, il nuovo ordinamento finisca per essere meno generoso delle sperimentazioni attuali.

Sul terreno della flessibilità e dell'apertura delle scuole ai soggetti del territorio, imprese e mondo delle professioni in primis, si gioca una buona fetta della sfida dell'innovazione, che ha negli istituti tecnici il proprio epicentro. Tramontata la chimera della "licealizzazione", che nei vecchi progetti vagheggiava di trasformare tutto in licei tecnologici con il risultato di far perdere identità e iscritti, la riforma Gelmini indica con decisione agli istituti tecnici la strada della collaborazione con il mondo produttivo. Oltre a un 20% di autonomia nella costruzione dell'orario per tutti i cinque anni, i nuovi ordinamenti prevedono, dal terzo anno in poi, una quota crescente di flessibilità, che al quinto anno può abbracciare fino al 35% del piano didattico dell'indirizzo e che va costruita insieme alle imprese del territorio. La "cabina di regia" di questi progetti sarà il comitato tecnico-scientifico, dove docenti ed esponenti del mondo del lavoro siederanno insieme per dare forma agli spazi di autonomia. Un aumento delle ore di laboratorio e un'impennata di stage e tirocini, almeno nelle intenzioni, dovrebbe completare l'opera.