La scuola dei diritti

Cittadinanza e Costituzione

Francesca Rigotti da l'Unità, 2.1.2010

Vorrei esprimermi in merito all’introduzione nella scuola pubblica di ogni ordine e grado dell’insegnamento di trentatrè ore annuali (una alla settimana) di «Cittadinanza e Costituzione». Non è stato un parto originale della testa della ministra dell’Istruzione italiana, ahimè non più «pubblica»: l’iniziativa si adegua infatti alle raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 sull’Educazione Europea alla convivenza civile, tant’è che nei diversi Paesi le direttive si sono concretizzate in iniziative diverse ma tutte tese a sottolineare l’importanza di dotare i giovani degli strumenti per partecipare pienamente alla vita civile, grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitiche e all’impegno a una partecipazione attiva e democratica.

Persino la civile Svizzera, (anche se l’aggettivo ha perso un po’ di smalto dopo la recente votazione contraria all’edificazione dei minareti), che dell’Unione europea non fa nemmeno parte, si occupa e si preoccupa dell’educazione alla cittadinanza.

Lo scrive ancora una volta Marcello Ostinelli sul Corriere del Ticino dello scorso 18 dicembre raccomandando «la conoscenza delle istituzioni politiche fondamentali dello Stato, delle loro funzioni e delle loro procedure, dei principi dello stato di diritto» come elemento essenziale della formazione dei cittadini.

Il mondo della scuola italiana ha risposto a queste sollecitazioni in maniera positiva – a differenza di tanti intellettuali disfattisti – grazie all’impegno di tanti insegnanti referenti di questa disciplina. Il fatto è che non basta ascoltare la voce del grillo parlante che ti dice che cosa sia giusto o sbagliato (in linguaggio tecnico questa posizione si chiama “giusnaturalismo”), come proclama Susanna Tamaro dichiarando giulivamente di non aver mai letto la Costituzione (le conviene farlo subito prima che ce la portino via).

È importante invece conoscere i valori politici comuni e, proprio per evitare il rischio di un “Catechismo dello Stato” paventato per esempio da Galli della Loggia, integrarli «nelle diverse concezioni del bene delle persone sulla base delle proprie giuste ragioni» (Ostinelli).

Ma tali lodevoli intenzioni andrebbero incoraggiate da un clima politico liberale e pluralista, che non è certo la cifra del raggruppamento politico che oggi – doppio ahimé - governa in Italia e che alla povera e bistrattata libertà senza motivo si richiama.