Scuole statali in crisi. di Gianni Gandola, da ScuolaOggi 15.2.2010 Il programma di Riccardo Iacona “Scuola fallita” (Presadiretta del 14 febbraio) ha messo bene in evidenza lo stato di sofferenza in cui versa la scuola pubblica (statale) italiana, riprendendo con grande obiettività e realismo temi che erano già stati affrontati qualche tempo fa in un servizio analogo da Milena Gabanelli. Sono stati toccati – in maniera chiara, semplice ed essenziale - alcuni punti critici del funzionamento delle scuole statali di ogni ordine e grado, oggi in evidente difficoltà. Scuole pubbliche sull’orlo di una crisi di nerviDocenti precari, anche di non tenera età e dopo anni e anni di servizio saltuario, in cerca di un posto fisso che non arriva. Supplenti annuali che si spostano in continuazione da una scuola all’altra, da un capo all’altro del paese, senza alcuna continuità didattica per gli alunni. Dirigenti scolastici che non possono chiamare i supplenti per mancanza di fondi. Classi senza insegnante che vengono quotidianamente divise e gruppi di alunni parcheggiati in altre classi, con evidente disagio per tutti e disturbo per la didattica. Riduzione degli insegnanti in organico, tagli alle cattedre e diminuzione delle ore di attività didattica. Impossibilità di svolgere attività per gruppi di alunni grazie al taglio delle compresenze nella primaria. Meno insegnanti e meno ore di sostegno per gli alunni disabili. Stato penoso degli edifici scolastici, sovente non a norma, fatiscenti e pericolosi. Incrostazioni, perdite d’acqua e aule al freddo. Mancanza di arredi, a cominciare dalle sedie. Mancanza di spazi, aule ristrette e sovraffollate. Mancanza di fondi per l’acquisto di materiale didattico (finanziamento didattico e amministrativo ridotto negli ultimi tempi a zero). Genitori che debbono sopperire con il “contributo volontario”, in una scuola - quella pubblica e dell’obbligo - che dovrebbe essere gratuita. Una situazione, nel complesso, disastrosa ed estremamente preoccupante. Un quadro della realtà di tutti i giorni che gli operatori scolastici conoscono sin troppo bene ma che al grande pubblico non è noto. O almeno non lo è con questa nettezza. Un altro mondo: le “paritarie”Ma il servizio di Iacona ha avuto anche il merito di aver fatto il confronto con le cosiddette scuole “paritarie” facendo emergere le profonde “disparità” delle rispettive situazioni, nel funzionamento ordinario e nel trattamento. Qui - soprattutto nelle scuole presentate (quasi tutte appartenenti alla fascia alta, es. l’istituto Leone XIII e la scuola inglese di Milano) - sembra di essere in un altro mondo. Aule e locali a regola d’arte, laboratori super attrezzati, ampi spazi (palestre, piscina, atelier). Offerta formativa ricca e differenziata (doppia lingua, varie attività creativo-espressive, aule di informatica, lavagne luminose, ecc.). Docenti reclutati in base ad una valutazione discrezionale e/o selezione direttamente da parte del dirigente o del gestore, quindi “scelti” (sia quelli fissi che i supplenti) senza impacci burocratici di graduatorie, punteggi, ecc. Attività per gruppi di alunni e classi non affollate. Nessun elemento problematico o di “disturbo” (alunni con handicap o stranieri, per intenderci). Utenza selezionata (naturalmente in base al reddito). Insomma non stiamo a dilungarci oltre: un altro pianeta. E le scuole paritarie dispongono di bilanci in attivo, godono di consistenti finanziamenti. Oltre alle entrate provenienti dalle rette (piuttosto elevate, si va dai 7 mila ai 12-15 mila euro l’anno) le paritarie fruiscono di finanziamenti da parte dello Stato. Non solo, ma in Lombardia i genitori che iscrivono i figli alle paritarie hanno un contributo economico da parte della Regione, un rimborso, la “dote scuola”. Una sorta di ulteriore “finanziamento indiretto” per le private, targato Formigoni. Ma cosa sono le paritarie?Com’è noto la questione della “parità” scolastica fra scuole statali e non statali (private) e soprattutto quella dei finanziamenti pubblici alle scuole paritarie (private) costituiscono senza dubbio un tema delicato quanto controverso, sul quale vi sono pareri diversi e divisioni trasversali (soprattutto all’interno del centro sinistra in senso lato). Tutto ha origine dal famoso art.33 della Costituzione che prevede che spetta alla Repubblica istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi e che enti e privati hanno il diritto di istituire anch’essi scuole e istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”. Cosa implicasse questa precisa dicitura era ben chiaro ai padri costituenti e lo è stato per quarant’anni nella storia della Repubblica per gli stessi governi a guida democristiana. Come ricorda Curzio Maltese nel suo libro “La questua” (Feltrinelli ed.) “sempre, da De Gasperi in poi la DC aveva rifiutato di finanziare con soldi pubblici le scuole e la sanità private, che in Italia significa al novanta per cento: cattoliche.” Forse non ci si è soffermati a riflettere abbastanza su questo fatto, che la dice lunga su come venisse interpretata la frase “senza oneri per lo Stato” perfino da un partito confessionale come la DC. Per non dire delle forze politiche presenti in Parlamento. Nel 1964 un governo presieduto da Aldo Moro venne battuto alla Camera e messo in crisi proprio per aver proposto un modesto finanziamento alle scuole materne private. Ironia della sorte vuole che sarà un governo di centro-sinistra a guida postcomunista (governo D’Alema, ministro dell’istruzione Berlinguer) ad aprire le porte, di fatto, con la legge sulla parità scolastica (legge 62/2000), ai finanziamenti alle scuole private. In realtà la legge 62 riconosceva alle scuole private paritarie di svolgere un servizio pubblico, ma non prevedeva finanziamenti in quanto tali, in quanto rifinanziava i contributi (sussidi) per le scuole elementari parificate e materne non statali previste dalle leggi del 1925 e 1962. Il ragionamento di fondo, comunque, che sta alla base del riconoscimento della “parità scolastica” è che anche le scuole non statali (private o degli enti locali), in quanto svolgono un servizio pubblico e accettano di adempiere a determinati requisiti (strutture idonee, programmi nazionali, ordinamenti dell’istruzione, bilanci pubblici…) fanno parte del “sistema nazionale dell’istruzione”. Salvo poi la totale mancanza di verifiche sul funzionamento effettivo di questi istituti e sul rispetto delle regole e delle condizioni previste. Per non parlare della difformità di trattamento con le scuole statali sul reclutamento dei docenti o sulla “selezione” degli alunni, a partire dalla presenza di portatori di handicap o stranieri, o ancora sul numero minimo di alunni per classe. Illuminanti a questo proposito due flash nel servizio di Iacona. Da un lato la madre che si vede respingere l’iscrizione al proprio figlio perché disabile (“la scuola non è in grado di seguirlo col sostegno, si rivolga alla scuola pubblica…”). Dall’altro la pressoché assoluta mancanza di alunni stranieri (una dirigente del Leone XIII che dice “non è solo una questione economica, ma gli “extracomunitari” qui sarebbero anche a disagio… Sa, c’è un’utenza medio borghese, con un certo stile di vita…”). … e perché finanziamenti pubblici alle scuole private?Ma andiamo avanti. Naturalmente la Moratti, ministro dell’Istruzione durante il successivo quinquennio di Berlusconi, utilizzò ampiamente la legge Berlinguer per finanziare le scuole private (scuole dell’infanzia e primarie). La legge finanziaria del 2006 (comma 635, Finanziamenti scuole non statali) e la legge n.27/2006 (ministro Fioroni) estendono il diritto al finanziamento a tutti gli ordini di scuola, dall’infanzia alle superiori. Queste hanno diritto all’assegnazione di contributi (finanziamenti) da parte dello Stato per la funzione pubblica che svolgono, a condizione che autocertifichino (sic) di non avere “fini di lucro”. Aperto un simile varco per i finanziamenti pubblici alle scuole non statali (chiamiamole con il loro nome: private), non stupisce che sia oggi la Gelmini ad affermare (vedi intervista al Corriere della Sera del 18.6.2009) che sta pensando ad un “sostegno economico” o bonus per chi studia alle private. “Costituzione alla mano – dice la Gelmini- voglio che tutti abbiano il diritto di scegliere se andare alla scuola pubblica o alla scuola paritaria. Quindi, siccome le scuole paritarie costano, sto pensando ad una riforma che dia la possibilità di accedere ad un bonus a chi vuole frequentarle. Un po’ come succede già in Lombardia”. La Gelmini dimentica che non è in discussione la “libertà di scelta” delle famiglie, diritto costituzionale, ma semmai la spinosa questione del “senza oneri per lo Stato”. E qui, ancora una volta, di oneri per le finanze dello Stato ce ne sono, anche se aggirati dall’ipocrita soluzione del contributo dato alle famiglie e non direttamente alle scuole. Perché, gira e rigira, lì si torna. Al punto di partenza. Il divario tecnologico (di risorse e di trattamento) esistente
Ma al di là del dibattito “politico-ideologico” sul significato del
dettato costituzionale in materia (il “senza oneri per lo Stato”)
pure non irrilevante e che qualche riflessione autocritica
all’interno della sinistra dovrebbe riaprire, quello che è
francamente scandaloso è quanto sta avvenendo proprio sotto il
governo della scuola Gelmini-Tremonti (e magari da un po’ di anni a
questa parte). Interessante a questo proposito il dossier “Rapporto sul buono scuola 2009 nella Regione Lombardia” presentato da Luciano Muhlbauer, gruppo consiliare regionale di Rifondazione comunista, citato nel sevizio di Iacona. Nel Pd naturalmente il tema è tabù. Ci si guarda bene dal parlarne, essendo una questione troppo spinosa e controversa. D’altra parte non è stato Berlinguer (ed il suo brain trust) ad aver aperto la strada e Fioroni ad averla imboccata aumentando i finanziamenti (ed estendendoli anche alle superiori) alle “paritarie”….? Guai, dunque, a rimetterle in discussione. Ed è proprio questo che è paradossale! Lo Stato riduce investimenti e risorse nella scuola pubblica-statale a fronte di un aumento di finanziamenti alle scuole “private” che svolgerebbero un “servizio pubblico” (sic). D’altra parte è significativo quello che è avvenuto in fase di finanziaria 2009, ove in un primo tempo erano previsti da Tremonti tagli anche per le scuole paritarie. Tagli immediatamente ritirati al primo stormir di fronde, dopo le proteste e le minacce di mobilitazione (proprio così!) da parte dei vescovi. Ragion per cui alle scuole private sono stati assegnati 120 milioni di euro. Ed ora, a fronte di una scuola pubblica (statale) praticamente in ginocchio quanto a tagli di organici, riduzione di finanziamenti (funzionamento ordinario, ecc.), qualcuno - la Gelmini, ma non solo lei - ha l’ardire di riproporre un ulteriore sostegno economico alle scuole private. Che dire? La destra fa indubbiamente il suo mestiere, ma non sarebbe ora che anche la sinistra, all’opposizione, facesse dignitosamente il suo? Lungo questa strada il divario tecnologico (e di trattamento) tra scuole private e scuole statali è destinato ad aumentare e, francamente, tutto questo – oltre che ingiusto e ai limiti della incostituzionalità – ci sembra davvero scandaloso. |