Piano in arrivo. Il Consiglio di Stato: riconoscere anche i periodi di precariato
Scuola, nuove regole per gli insegnanti:
Nelle scuole del meridione la media delle
risposte corrette Anna Maria Sersale Il Messaggero, 15.2.2010 ROMA - Pronte le regole per i nuovi insegnanti. Per mettere un freno al dilagare del precariato e selezionare chi sale in cattedra, i “posti” per gli aspiranti nelle università saranno a numero chiuso, calcolati sulla base del “reale fabbisogno”. Cinque anni di studio, poi un anno di tirocinio non retribuito. Così gli anni salgono a sei. Per curare i tanti mali della scuola - nelle comparazioni dell’Ocse risultiamo i più impreparati d’Europa: 33mo posto in lettura, 36mo in cultura scientifica, 38mo in matematica - ora l’obiettivo è quello di recuperare credibilità. Ai nuovi insegnanti non dovranno mancare “robuste conoscenze disciplinari”, oltre a “capacità organizzative”, “relazionali e comunicative”. Inoltre dovranno saper “motivare gli studenti allo studio”, fare “lavoro di gruppo” e avere “rapporti con le famiglie”. Una severa “selezione” costringerà quelli professionalmente inadeguati a cambiare mestiere. Un decreto del ministro Gelmini, che dopo un ultimo passaggio a Palazzo Chigi entro fine mese sarà mandato alla firma del Presidente della Repubblica, stabilisce in che modo si diventa docenti. Se le università, come dicono, saranno pronte il nuovo sistema di formazione partirà dal prossimo anno. I test d’ingresso nelle università saranno il primo filtro, con i corsi per la specializzazione a numero chiuso. La scuola dovrà programmare i nuovi organici e il sistema universitario avrà il compito di formarli. I “posti” saranno calcolati sulla base delle previsioni delle scuole, tanti per la matematica, l’italiano, la storia e così via. L’anno scorso sono state assunte 16mila persone, il ministero dovrà programmare il prossimo triennio, poiché quasi la metà dei docenti è vicina all’età della pensione e i concorsi sono fermi da 10 anni. Per alcune materie, come matematica, scienze e francese, le graduatorie, soprattutto al Nord, sono esaurite (secondo i sindacati Milano, Treviso, Sondrio, Torino e Reggio Emilia sono le città con più cattedre vacanti nelle materie scientifiche). Come si diventerà insegnanti? «Cinque anni di studio universitario: a ciclo unico, per chi punta alla scuola primaria, oppure tre anni per la laurea base in una disciplina, seguiti dal biennio specialistico, per chi pensa alla cattedra di medie o superiori». Per tutti, nel biennio, lo studio di materie professionalizzanti nel ramo pedagogico e psicologico. Dunque, posti a numero chiuso nelle università, assunzioni programmate, stop al precariato, tirocini di un anno, ma anche più inglese e nuove tecnologie. Questo il piano. Ma la vera novità è “l’anno di tirocinio obbligatorio, non retribuito, da svolgere nelle scuole”. Al termine scatterà automaticamente il contratto? No, entrerà in ruolo solo chi supererà l’anno di prova, sotto la guida di un tutor, e il concorso bandito ogni due anni, (da definire con un provvedimento a parte). Sarà poi compito degli Uffici scolastici regionali organizzare, aggiornare e controllare gli albi delle scuole accreditate che ospiteranno i tirocini (sulla base di appositi criteri stabiliti dal ministero). Il tirocinio non prevede salario (Tremonti ha detto che non ci sono i soldi) inoltre il ministero vuole evitare situazioni che potrebbero generare altro precariato. Per completare il profilo dell’insegnante, la Gelmini si dice pronta al «prossimo passo, la riforma complessiva del reclutamento», come ha annunciato l’altro giorno dopo il varo dei nuovi licei. Per questa seconda parte, ha in preparazione un secondo decreto. Ma che cosa ha in mente il ministro? Quali prospettive saranno offerte a chi andrà in cattedra? La scelta dei più bravi sarà il criterio guida. Il nuovo provvedimento conterrà due punti centrali: carriere differenziate e stipendi legati al merito e ai risultati ottenuti. Previsto anche l’accorpamento delle classi di concorso: per le superiori si ridurranno da 70 a 40, un modo per “ridurre la spesa”. Tornano anche i concorsi, fermi dal 2000. «Non ci possiamo permettere - afferma il ministro Gelmini - che migliaia di quindicenni non sappiano comprendere un testo scritto e che il 25% abbandoni la scuola nel primo biennio delle superiori». Per innalzare i livelli della qualità, il ministro promette nomine degli insegnanti fatte per merito, non per “scorrimento” automatico, questo decreterà la fine delle “graduatorie a esaurimento”, che verranno chiuse per sempre. Una svolta. Ma i tempi? Il decreto sulla formazione è in dirittura d’arrivo, quello sul reclutamento è allo studio. Ma non è detto che quello alla firma diventi subito attuativo. Il Consiglio di Stato il 7 febbraio scorso ha inviato un primo parere al ministero: i giudici di Palazzo Spada chiedono alla Gelmini di avviare una fase di transizione per riconoscere “ai fini del tirocinio e dei crediti il servizio prestato in via precaria presso le istituzioni scolastiche”. Cosa che potrebbe portare a un “canale riservato” per l’assunzione dei precari (attualmente 200mila in attesa del posto). «Appare opportuno - sostengono le toghe - in una fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime, tenere conto della esperienza professionale maturata, ferma restando la possibilità di fissare presupposti e limiti di tale rilevanza». Il che equivale a dire “sì” alle nuove regole, ma non senza avere prima sistemato i precari. Si aggiungono le proteste dei sindacati: «Chi ha già una laurea magistrale e un periodo di supplenze a scuola, o incarichi annuali con contratti a tempo determinato, rivendica il diritto a vedersi riconosciuto l’anno di praticantato», sostiene Massimo Di Menna, segretario nazionale Uil scuola. «Abbiamo insegnanti che hanno all’attivo quattro concorsi, o anni di servizio tra un incarico annuale e l’altro, vogliamo pure chiedergli il tirocinio obbligatorio? La loro esperienza a scuola vale forse meno?», aggiunge Francesco Scrima, segretario nazionale Cisl, che come altri sindacalisti si prepara a dare battaglia. Chiedono deroghe al decreto per governare una “fase di transizione”. «In questo modo - replicano fonti ministeriali - si vanifica tutto». Conclusione: si riapre il conflitto ma il governo andrà avanti. |