La riforma Gelmini ancora da rifare Andrea Gavosto*, La Stampa 6.2.2010 Il governo ha avviato la riforma dell’istruzione superiore, approvando i regolamenti e i quadri orari di licei, istituti tecnici e professionali: sulla carta, si tratta di uno dei cambiamenti più significativi della nostra scuola dall’introduzione della media unica del 1962. Per formulare un giudizio completo, occorre però attendere la definizione dei programmi di studio e dei dettagli delle singole materie, che per il momento rimangono titoli generali; tuttavia, qualche considerazione iniziale si può fare. Il rinnovamento di istituti tecnici e professionali ha incontrato un generale consenso: è il frutto di una lunga riflessione improntata a uno spirito bipartisan, purtroppo persosi all'ultimo passaggio. La riforma dei licei, invece, è di fatto nata solo negli ultimi dodici mesi ed è quindi destinata a suscitare maggiori controversie. La grande novità positiva è la creazione di un vero liceo scientifico - con l’opzione chiamata «scienze applicate». Una grave lacuna dell’ordinamento italiano viene colmata, razionalizzando la sperimentazione più interessante e diffusa degli ultimi anni, il cosiddetto Piano nazionale informatica. Con la rinuncia a tre ore settimanali di latino, si rafforzano gli insegnamenti di matematica, fisica e scienze naturali. Includendo le ore informatica, gli studenti avranno 12 ore di insegnamento scientifico nel primo biennio e 14 nel triennio successivo. Finalmente, verrebbe da dire. Anche in un Paese storicamente poco orientato alla cultura scientifica come il nostro, si creerà una leva di studenti con competenze di matematica, fisica e scienze della vita analoghe a quelle dei paesi avanzati, inclusi quelli asiatici, ma soprattutto abituati a ragionare partendo dall’osservazione dei fenomeni naturali, interrogandosi senza pregiudizi sulle loro leggi e imparando a concettualizzarle in modelli e teorie complesse. E’ probabile - e per molti versi auspicabile - che le future élite del Paese escano da questo filone del liceo scientifico, ben più che dal liceo classico, così come avviene da tempo in Francia. Da questo punto di vista, appare bizzarra l’inclusione dell’informatica come materia a sé: è difficile pensare che i ragazzi di oggi abbiano bisogno di una specifica alfabetizzazione sui computer, a meno che non li si voglia trasformare tutti in ingegneri informatici. Così come, per guidare un’auto, non abbiamo bisogno di sapere come è fatto lo spinterogeno, per studiare le scienze - o qualsiasi altro soggetto - i ragazzi non devono sapere come sono fatti i computer: devono usarli, sfruttandone in modo intelligente e critico le risorse cognitive. Se, sul piano degli studi scientifici, la riforma compie progressi, dubbi rimangono per le scienze sociali, l’altra sfera dei saperi finora largamente ignorata dalla nostra scuola. Con la riforma nasce, a fianco dell’attuale liceo psico-pedagogico, ribattezzato delle scienze umane, un’opzione socio-economica. L’idea è buona, ma l’indirizzo sembra mancare di una identità precisa. Accanto a sole tre ore settimanali di diritto ed economia (perché metterle insieme in un indirizzo così dedicato, poi?), ci sarà un eguale ammontare di un generico insegnamento di scienze umane (antropologia, psicologia, sociologia, statistica) e di una seconda lingua. Il rischio, evidente, è che il liceo economico-sociale finisca con l’essere un refugium peccatorum di chi non ha un chiaro orientamento umanistico o scientifico. In generale, il problema di quanto spazio dedicare a insegnamenti comuni a tutti gli indirizzi e quanto a discipline specialistiche è cruciale, ma non ha mai soluzioni facili. La soluzione preferibile, per permettere ai ragazzi - e non solo alle loro famiglie - di scegliere consapevolmente la specializzazione più congeniale, sarebbe, a mio avviso, un percorso sostanzialmente comune nel biennio, con un orientamento per il triennio successivo anche più specialistico che nell’attuale disegno. Uno sforzo in questa direzione è stato fatto, mantenendo nel biennio iniziale di tutti gli indirizzi insegnamenti di italiano, storia, matematica, scienze e lingua straniera. Perché non includere anche diritto e economia? In fondo, i fondamenti giuridici ed economici della nostra comunità civile dovrebbero far parte di quel patrimonio di conoscenze «di cittadinanza» necessarie a qualsiasi giovane.
Infine, una critica facilmente prevedibile all’impianto della
riforma sarà di aver ridotto le ore di insegnamento, con alcune
materie - l’inglese su tutte - penalizzate più di altre. Le ricerche
sui migliori sistemi scolastici - ma anche il semplice buon senso -
ci dicono che per migliorare gli apprendimenti degli studenti ciò
che veramente conta è la qualità degli insegnamenti, ben più che la
loro quantità. Oggi la qualità degli insegnamenti in Italia si fonda
sul ripensamento dell’organizzazione delle carriere e della
formazione dei docenti, su cui reinvestire i risparmi di spesa che
il governo ha imposto alla scuola. E, naturalmente, su un sistema di
valutazione nazionale ben funzionante. Se così andranno le cose,
allora questa riforma segnerà davvero un cambiamento per la scuola
italiana. |