LA PROPOSTA DI UNA NEUROLOGA BRITANNICA All'Università serve l'antidoping? Allarme a Cambridge: nelle facoltà si consumano troppi farmaci per stimolare l'attenzione Gli studenti che non li usano si sentono danneggiati e chiedono un test per fermare i bari Mattia Bernardo Bagnoli, La Stampa 26.2.2010
LONDRA «È arrivato il momento di affrontare la questione», ha detto Sahakian al «Guardian». «Gli atenei dovrebbero mettere in campo una strategia, delle azioni pratiche. Alcuni studenti credono che usare questi medicinali equivalga a imbrogliare agli esami, e protestano perché i voti incidono sulla possibilità di trovare lavoro. Dobbiamo pensare a introdurre test sulle urine? È una possibilità che vale la pena vagliare». Il problema è ancora più spinoso perché le sostanze in questione non sono illegali, ma medicine abitualmente prescritte per disturbi come l’Alzheimer, la narcolessia, la sindrome di iperattività e deficit all’attenzione (Adhd). I farmaci hanno l’effetto di aumentare i livelli di acetylcholine nel cervello e quindi potenziare la concentrazione.
Ovviamente il primo punto di accesso
per mettere le mani su queste sostanze, Ritalin e Modafinil in
testa, è internet. Dove, da qualche tempo, sono fioriti siti e
chat-room che offrono consigli su come ottenere i migliori effetti
per l’uso delle medicine associato allo studio. «È un aspetto della
vicenda molto preoccupante - sottolinea Sahakian - perché i ragazzi
in questo modo non sanno cosa stanno assumendo e quali conseguenze
potrebbero esserci per la loro salute». A ben vedere, però, nessuno
lo sa ancora con esattezza. Dati certi sull’impatto di queste
sostanze - che in inglese vengono definite «smart drugs» - non ce ne
sono ancora. Ecco allora che, parlando a una conferenza organizzata presso la Royal Institution, Barbara ha voluto sollevare anche la questione etica. «Il punto è questo: finiremo tutti per prendere, nei prossimi dieci anni, medicinali che potenziano l’area cognitiva?». Se, infatti, verranno messe a punto sostanze specifiche, legali, per aumentare il rendimento della mente, il rischio è di approdare in una società che accetta questo tipo di alterazioni così come oggi si usa la cosmesi. Senza troppi interrogativi. «In questo caso - continua - utilizzeremo queste droghe per avere una settimana lavorativa più corta e spendere più tempo con amici e familiari oppure finiremo a lavorare 24 ore al giorno, sette giorni su sette, perché saremo in grado di farlo?». Per la neurologa di Cambridge questo è il momento di cominciare a porsi queste domande e non lasciare soli i ragazzi delle università. Che in attesa di sapere quale modello di vita sceglieremo tra qui a due lustri si stanno portando avanti per i fatti propri. Negli Stati Uniti un sondaggio ha rivelato che circa il 16 per cento degli studenti fa uso abituale di «smart drugs» mentre un’indagine condotta da «Nature» su un campione di 1.400 persone - per la maggior parte studenti e ricercatori - ha mostrato come un quinto degli intervistati ha fatto uso di potenziatori del cervello. Principalmente per far fronte a situazioni di alto stress e competizione come gli esami di accesso all’università. |