LA PROTESTA

"Io, faccia a faccia con il Presidente
le sue parole mi hanno ridato speranza"

Il racconto di Luca, uno dei 12 studenti ricevuti al Quirinale. "Siamo arrivati nel suo studio ancora vestiti come alla manifestazione. Quando ci hanno chiamato eravamo in corteo sulla tangenziale"

Maria Novella De Luca la Repubblica 24.12.2010

ROMA - «Ci ha ascoltati. Per un'ora e mezza. Con interesse vero. Nessuno l'aveva fatto finora. Ha visto chi siamo, noi, il movimento, perché contestiamo questa riforma dell'università, perché siamo convinti che ci stiano depredando del futuro, perché non solo tra i giovani ma in tutto il Paese ci sia una rabbia che cresce e può esplodere. Eravamo nel suo studio, al primo piano del Quirinale, ancora vestiti come alla manifestazione, noi e il presidente della Repubblica, alla fine di una giornata incredibile, è stato emozionante, ma la vera emozione è stata finalmente l'essere ascoltati». Luca Cafagna ha 26 anni, sta finendo la specializzazione in Scienze Politiche, studia grazie ad una borsa di studio e vive con la sua compagna in uno stabile occupato diventato una sorta di "casa dello studente" di fatto. Al caffè "Necci", locale cult del Pigneto, ex bar con biliardo frequentato anche da Pasolini negli anni Sessanta, Luca Cafagna, ormai volto noto e leader della protesta, racconta il suo incontro con Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica.

Cafagna, l'ha sorpreso l'invito del presidente Napolitano?

«Sì, in senso positivo, dopo mesi e mesi di testardo rifiuto del governo ad incontrarci. Sapevamo di avere in Napolitano un interlocutore, più volte aveva mostrato sensibilità alle nostre richieste, alla comunità dei giovani. Ma il suo gesto ha evidenziato ancora di più la mancanza di democrazia nel nostro Paese, perché doveva essere il governo a chiamarci, non il presidente della Repubblica».

Ma lei era mai entrato al Quirinale?

meraviglioso. Sono entrato intorno alle 17,30, da un ingresso laterale, c'era una grande concitazione di funzionari, un po' di tensione, ho fatto una corsa pazzesca per arrivare, quando abbiamo saputo che il Quirinale ci avrebbe ricevuto eravamo ancora sulla tangenziale...».

Il Presidente vi ha accolto nel suo studio privato. Com'è andato l'incontro?

«È stato denso e non formale. Eravamo in dodici, seduti in cerchio, in rappresentanza di tutte le facoltà universitarie. Napolitano ci ha ascoltati a lungo, facendo ogni tanto delle domande, poi ha posto dei problemi, degli interrogativi, per la prima volta abbiamo potuto discutere di politica con una figura istituzionale, e la sensazione è che da parte del Presidente ci fosse un interesse vero. Alla fine Napolitano ha parlato per venti minuti».

Ma l'incontro è stato utile? Adesso sarà il Colle a dover firmare la legge Gelmini...

«Non sappiamo se Napolitano firmerà o no, noi però abbiamo avuto il tempo di mostrare al Presidente tutte le mostruosità di questa legge, i chiari elementi di incostituzionalità. Ma la conversazione al Quirinale è stata importante perché ha dato riconoscimento al movimento degli studenti, che altri avevano criminalizzato».

Avete anche parlato di quanto accaduto il 14 dicembre? Degli episodi di violenza?

«Abbiamo spiegato a Napolitano che siamo sempre gli stessi, chi era in piazza il 14 dicembre era anche nello studio del Quirinale. Ma il movimento è quello che mercoledì non è caduto in una trappola, ha scelto di ignorare la zona rossa e di camminare in periferia, a Tor Pignattara, al Pigneto, tra le gente vera che prova la stessa nostra rabbia, in questi quartieri che sopravvivono anche grazie alla microeconomia degli studenti».

Lei dice che soltanto il presidente Napolitano vi ha ascoltati. E i partiti, i sindacati, la sinistra?

«C'è una separazione enorme, l'incapacità di capire quanto sia grave il dramma della nostra generazione. Sapete quanti soldi ha per vivere uno studente ogni mese, affitto, tasse, cibo e libri compresi? Quattrocento euro. Vi sembra possibile? Ognuno di noi per pagarsi gli studi fa qualsiasi tipo di lavoro in nero: ristoranti, pizzerie, manifesti, volantini, baby sitter. Come fanno la Gelmini, Berlusconi a dire che noi non vogliamo lavorare?».

E tutto questo siete riusciti a comunicarlo al presidente della Repubblica?

«Sì, certo. Ho avuto la sensazione che Napolitano fosse assai più consapevole dei problemi di migliaia di giovani di buona parte del governo, che invece di incontrarci punta ad una svolta autoritaria».

Ma lei conosceva la storia di Napolitano?

«So che viene dalla cultura di sinistra, dal Pci, da quella parte del partito comunista che aveva scelto di dialogare con l'America. Ma ciò che conta oggi è il suo ruolo istituzionale, il suo essere diverso dagli altri».

Diverso in che senso?

«Democratico, possiamo usare questa parola? Napolitano ascoltandoci non ha fatto altro che rispettare le regole della democrazia. Un gesto normale in un paese normale. Non più nel nostro però».