Disegno di legge sull’Università,
dissensi e mobilitazioni

di Andrea Toscano La Tecnica della Scuola, 16.4.2010

Mentre la Commissione del Senato ha approvato le modifiche, a seguito di alcuni emendamenti, dell'art. 1 del DdL del Governo, diverse organizzazioni sindacali ed associazioni della docenza universitaria esprimono timori per il futuro dell’Università “pubblica, autonoma, di qualità, aperta a tutti".

La VII Commissione del Senato ha approvato le modifiche, a seguito di alcuni emendamenti, dell'art. 1 del DdL n. 1905 di riforma dell'Università.

Intanto, nei giorni scorsi diverse organizzazioni sindacali e associazioni professionali universitarie avevano evidenziato attraverso un comunicato congiunto che non era stata accolta negli emendamenti presentati al Senato neppure una delle proposte di modifica al disegno di legge presentato dal ministro Gelmini (“Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario sull’Università”) che Adi, Adu, And, Andu, Apu, Cipur-Confsal, Cisl-Università, Cnu, Cnru, Confsal, Flc Cgil, Rdb-Cub, Snals-Docenti Università, Sun, Udu, Ugl-Università e Ricerca, Uilpa-Ur avevano avanzato attraverso un documento dello scorso 15 gennaio.

In quel documento, oltre al “rilancio dell’Università pubblica come istituzione strategica per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese, anche per la mancanza di adeguati investimenti a copertura degli interventi previsti dal DdL governativo sulla qualità del sistema (interventi peraltro al di fuori di un progetto strategico sul ruolo, la funzione e la missione dell’Università)”, si chiedeva una gestione democratica attraverso la partecipazione di tutte componenti (“in particolare, deve essere prevista l’elezione di un Senato accademico a cui siano attribuiti poteri di programmazione, indirizzo e controllo”) anziché “concentrare in poche mani (il rettore e il Consiglio di amministrazione) il potere di gestione degli Atenei”.

Contrarietà, quindi, sul sistema di governance, con lo svuotamento dell’autonomia e l’assoggettamento del “Ministero competente a quello dell’economia”.

Inoltre, nel documento si evidenziava che “l’istituzione della figura del ricercatore a tempo determinato, in aggiunta alla pletora di figure post-dottorato, aggrava il problema del precariato”. Si auspicava, invece, “un’unica figura pre-ruolo, dotata di autonomia e responsabilità diretta di progetti di ricerca”.

Timori, inoltre, venivano espressi sui previsti meccanismi concorsuali che “potrebbero addirittura accentuare il localismo, senza eliminare i casi di nepotismo e senza premiare il merito” e la mancanza “di qualsiasi riferimento al destino degli attuali ricercatori di ruolo”, mentre “non viene prevista alcuna riforma del dottorato di ricerca che è invece necessaria e urgente anche per la formazione alla docenza”.

Peraltro, veniva sottolineato come l’Università pubblica non è più indicata come “sede primaria della ricerca” e come “le indicazioni sul diritto allo studio risultano generiche e rinviano ad una delega totale all’esecutivo, invece di ridefinire un welfare studentesco oggi palesemente inadeguato”.

Adesso, dopo aver constatato l’indifferenza del Governo alla proposta avanzate, le organizzazioni sindacali e le associazioni della docenza universitaria (Adi, Adu, And, Andu, Apu, Cipur-Confsal, Cisal, Cnru, Cnu, Confsal-Cisapuni, Flc-Cgil, Link-Coordinamento Universitario, Snals-Docenti Università, Sun, Udu, Ugl-Università e Ricerca, Uilpa-Ur) nel comunicato unitario diffuso qualche giorno fa rincarano la dose e affermano che “risulta ancora più evidente l’intenzione di scardinare il sistema nazionale dell’Università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi Atenei ritenuti ‘eccellenti’ e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri”. Si fa notare che “a livello nazionale, si accentua l’attacco all’autonomia universitaria con l’attribuzione del potere di valutare l’attività del singolo docente ad una Agenzia nominata dal Ministro” e che “a livello locale si aumenta ulteriormente di fatto il potere del rettore e del Consiglio di amministrazione trasferendo la ‘competenza disciplinare’ dal Cun a ‘collegi di disciplina’ di Ateneo”.

Si sottolinea che alle Università viene sottratto il ruolo di sede principale della ricerca e che con il DdL governativo si acuisce la differenza tra professori ordinari e associati, nel quadro “di un modello che sarà sempre più costituito da pochi docenti di ruolo e da una ‘base’ amplissima di precari, in presenza di funzioni di docenza svolte e non riconosciute”.

E i firmatari del comunicato lanciano un appello alla mobilitazione di professori, ricercatori, precari, dottorandi, tecnico-amministrativi, studenti universitari (ma anche dell’intera “società civile”) e proclamando “lo stato di agitazione” (in particolare, ai professori e ai ricercatori si chiede di rinunciare “a ricoprire ogni incarico didattico aggiuntivo”) si invitano tutte le componenti universitarie a riunirsi insieme nelle assemblee di facoltà e di Ateneo e gli organi accademici (Senati accademici, Consigli di amministrazione, di facoltà, di dipartimento e di corso di studio) a pronunciarsi sul disegno di legge del Governo.

Dal 17 al 22 maggio viene indetta una settimana di mobilitazione in tutti gli Atenei e per venerdì 21 maggio si prospetta una manifestazione nazionale di tutte le componenti universitarie.

Intanto, per il 23 aprile il coordinamento nazionale precari università Flc-Cgil ha indetto un’assemblea nazionale a Milano per “discutere insieme del futuro dei lavoratori della ricerca e della didattica dell’università pubblica in Italia”, partendo dal “contrasto netto al processo di privatizzazione dell'Università pubblica e statale”.