Poggi: ora impariamo dagli Usa
e definiamo le "competenze" degli insegnanti

Annamaria Poggi, il Sussidiario 8.4.2010

Il tema della giornata è cruciale ed è all’ordine del giorno del dibattito internazionale, europeo ed italiano. È infatti in corso un profondo cambiamento culturale. L’apprendimento è diventato prioritario rispetto all’insegnamento ed è in crisi l’organizzazione del sapere scolastico secondo un esclusivo approccio disciplinare. In una società in continuo e rapido cambiamento risulta centrale formare persone capaci di “navigare” la complessità e si sta affermando sempre più, anche se non in modo unanime, una pedagogia per competenze. Il profilo in uscita dello studente non è solo più la riproduzione di contenuti disciplinari ma anche la capacità di affrontare e risolvere situazioni complesse. Mutano allora i riferimenti teorici, la concezione del lavoro, il ruolo dell’insegnante, le modalità di apprendimento degli studenti anche connesse alla diffusione delle tecnologie.

Da tempo ci si interroga quindi su quali siano e su come valutare le competenze fondamentali, intese come insieme di conoscenze, capacità e attitudini che favoriscono la realizzazione personale, l’esercizio della cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. È da oltre un decennio che in Europa si lavora in questa direzione. Prima il Consiglio Europeo di Lisbona nel 2000, poi di Barcellona nel 2002. Più recentemente (lo scorso 3 marzo 2010) la Commissione europea ha evidenziato che per uscire dalla crisi l’Europa deve puntare ad una “smart, sustainable and inclusive growth”, ritenendo imprescindibile il ruolo giocato dall’istruzione, dalla formazione e dall’apprendimento lungo tutto il corso della vita.

Molto è stato fatto a livello europeo per definire e implementare le competenze chiave per la società della conoscenza. Si parla di saper comunicare nella propria lingua d’origine e attraverso altre lingue; di avere competenze matematiche e scientifiche; di possedere competenze digitali; di imparare ad apprendere; di avere competenze civiche e sociali; di avere spirito imprenditoriale e iniziativa personale; di possedere una solida formazione culturale.

In molti Paesi, poi, numerosi e riusciti con soddisfazione sono i tentativi di implementare le competenze chiave nei curricola secondo un approccio transdisciplinare, grazie anche a insegnanti preparati, che sperimentano innovazione e che sono supportati da dirigenti disponibili.

Una delle sfide più attuali riguarda la valutazione e certificazione delle competenze anche secondo la direzione indicata dal Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF). Le indagini PISA, TIMMS, IEA hanno consentito di individuare alcuni indicatori ma ovviamente c’è ancora molto da fare (sia a livello europeo che a livello nazionale) se si vuole costruire un sistema di valutazione strutturato e articolato.

In questa direzione gli Stati Uniti hanno sviluppato esperienze di grande interesse. Il Dipartimento dell’Educazione degli Usa si è dotato di una “guida” (Forum Guide to Education Indicators), in cui sono raccolti 98 indicatori in materia di educazione tra quelli più frequentemente utilizzati (2005). Il sistema di indicatori selezionati è di tipo, potremmo dire, “multidimensionale” in quanto considera sia la performance - ad esempio il raggiungimento dei risultati di apprendimento, il successo raggiunto ultimata la scuola - sia il contesto - cioè gli input (spese, caratteristiche degli studenti, background familiare, offerta formativa, personale, …) e i processi (la scelta dei corsi, i servizi di supporto, …) che possono aiutare a spiegare gli indicatori di performance. Il valore di un indicatore per avere senso ha necessità di essere letto e interpretato alla luce del contesto in cui si inserisce. La dispersione scolastica in Veneto o in Campania è riconducibile a interpretazioni differenti, fortemente condizionate da variabili di tipo socio-economico.

Un simile strumento, anche se non può rispondere a tutte le domande, è importante per i decisori politici, per i dirigenti e i docenti, per le famiglie sia per verificare se la scuola sta realizzando gli obiettivi dichiarati ma anche per sviluppare un maggior senso di “accountability”.

Costruire un sistema di indicatori rilevanti, validi, replicabili (qualità), tempestivi (tempo), efficaci (“costi”) è un’operazione complessa. Sovente gli indicatori che si utilizzano sono poco chiari, definiti in modo talmente diversificato da non consentirne la comparabilità, difficilmente interpretabili. Come si diceva il Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti ne ha resi disponibili 98, ciascuno dei quali descritto puntualmente secondo un framework preciso: il nome dell’indicatore, alcune definizioni alternative del medesimo indicatore comunemente utilizzate, alcuni suggerimenti per il suo impiego, le domande a cui intende rispondere, i rischi di una errata interpretazione dell’indicatore, il collegamento con altri indicatori, i dati da aggregare per formare l’indicatore, la formula di calcolo, ecc. Ovviamente l’adozione degli indicatori richiede di “scendere a compromessi” con il contesto specifico, selezionando quelli ritenuti più utili e meno onerosi.

Sempre negli Stati Uniti, sul tema degli standard, a luglio del 2009 è stata pubblicata un’indagine riguardante la professionalità docente e le abilità di insegnamento, realizzata dal Regional Educationa Laboratory at WestEd (REL) per l’Institute of Educational Sciences (IES) del Dipartimento per l’Educazione, su 6 stati: California, Florida, Illinois, North Carolina, Ohio e Texas. Alcuni elementi possono rivelarsi di particolare utilità per una riflessione più generale sui criteri per la definizione di standard di riferimento per valutare l’insegnamento.

Innanzitutto la precisazione del target di riferimento che determina la definizione di standard univoca per l’intera popolazione docente oppure differenziata a seconda delle diverse caratteristiche dei docenti (insegnanti appena entrati in servizio, docenti esperti, secondo i livelli di carriera). In secondo luogo l’individuazione dei temi prioritari (insegnamento a soggetti con bisogni speciali, uso delle tecnologie, utilizzo degli standard di apprendimento degli studenti). Infine le modalità di intervento attivate per affrontare i temi prioritari (per studenti con bisogni speciali la personalizzazione e il supporto alla diversità; per l’uso delle tecnologie l’integrazione nel curricolo).

In Italia è in corso per la scuola secondaria di secondo grado, recentemente riformata, la definizione delle Indicazioni nazionali sugli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) a partire dal Sistema dei Licei, che si sono ovviamente ispirate al Processo di Lisbona e ai successivi documenti e hanno cercato soprattutto per gli OSA del biennio uno stretto confronto con il Sistema degli istituti tecnici e professionali per le discipline di area comune.

Due le scelte culturali di fondo che hanno animato il lavoro della Commissione di studio incaricata dal Ministro: da un lato redigere le Indicazioni con la finalità di renderle fruibili e comprensibili al più elevato numero di soggetti, comprese le famiglie. Quindi per ogni disciplina è stato definito un profilo generale che descrive le competenze non secondo una logica tassonomica ma evidenziando in modo descrittivo i risultati che ci si attende lo studente raggiunga al termine del percorso disciplinare. Dall’altro ciascuna competenza è stata declinata secondo i nuclei fondamentali della disciplina e gli OSA sono articolati per bienni ed eventuale ultimo anno.

Con una simile articolazione gli estensori delle Indicazioni intendono raggiungere tre finalità fondamentali. La prima è l’assolvimento dell’obbligo scolastico, evidenziato ulteriormente anche attraverso il richiamo alle possibili connessioni tra discipline. La seconda è la riduzione delle carenze riscontrate nell’accesso agli studi superiori.

Al riguardo è da considerare centrale la valutazione periodica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento affidata all’INVALSI. Occupandosi anche di individuare le zone più problematiche di implementazione, le analisi dell’INVALSI consentiranno di valutare l’opportunità di un aggiornamento periodico del profilo educativo, culturale e professionale dello studente anche in relazione ai cambiamenti culturali connessi al mondo del lavoro e degli studi superiori.

La terza finalità è la tutela e valorizzazione dell’autonomia delle scuole. Infatti definiti gli obiettivi specifici di apprendimento è agli insegnanti e alle scuole che sono affidati l’arricchimento e la piegatura degli OSA ai singoli percorsi liceali.

In questa direzione essendo la qualità dell’insegnamento e le doti di leadership del dirigente scolastico fattori determinanti e non trascurabili che incidono sulle performance degli studenti (come segnala l’indagine TALIS dell’OCSE), potrebbe essere interessante, in prospettiva, riflettere sugli standard di qualità dell’insegnamento, come anche l’esperienza statunitense suggerisce.