Amianto in 2.400 scuole italiane, Cinque edifici su 100 contaminati: i 358 milioni stanziati non ci sono più di Nino Cirillo Il Messaggero, 9.8.2010 ROMA (9 agosto) - L’amianto nelle scuole dei nostri ragazzi è uno scandalo lungo almeno 18 anni, una di quelle vergogne che rispuntano a intervalli lunghissimi, che una legge avrebbe dovuto cancellare -la legge n. 257, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 13 aprile 1992- e invece neanche la legge ce l’ha fatta. Se la norma fosse stata applicata e rispettata - se cioè, oltre che dichiarare fuori legge l’amianto, si fosse proceduto a una seria operazione di bonifica - non saremmo oggi qui a osservare il baratro nel quale siamo finiti: 2.400 scuole italiane sono ancora a rischio, c’è amianto nelle loro strutture. Sui tetti, nelle palestre, nei muri è stata accertata la presenza di quel materiale molto comune e molto usato negli anni del Boom «per la sua resistenza al calore e la sua struttura fibrosa», che provoca con le sue polveri -ormai è fin troppo accertato- tumori della pleura e carcinoma polmonare. Duemilaquattrocento scuole su 41.902 edifici scolastici sparsi per la nostra Penisola. Vuol dire che cinque scuole su cento -e anche qualcosa di più- aprono i battenti ogni mattina, facendo correre agli alunni, agli insegnanti, a tutto il personale questo terribile rischio. Il dato è tremendamente serio, contenuto in dossier riservato del Ministero della pubblica istruzione che fa il punto sullo stato -disastroso- dell’edilizia scolastica italiana. Un dossier che fotografa bene il dramma dell’amianto soprattutto quando fornisce i dati sugli anni di costruzione degli edifici scolastici. Il 44 per cento delle scuole oggi aperte e funzionanti in Italia, infatti, sono state costruite fra il 1961 e il 1980, una su due o poco meno. Negli anni cui l’amianto andava che era un piacere, formidabile garanzia di isolamento termico e acustico, quasi un piccolo mito di “modernità”. E pensare che già allora eravamo molto indietro. La prima nazione al mondo -dicono i libri- a riconoscere la natura cancerogena dell’amianto e a prevedere un risarcimento per i lavoratori danneggiati fu addirittura la Germania nazista nel 1943. «Ma in quegli anni, per l’incremento demografico galoppante -ricorda Lello Macro, delle segreteria nazionale della Uil scuola, fonte inesauribile di dati sull’edilizia scolastica italiana- bisognava costruire tante nuove scuole e soprattutto costruirle in fretta. Così, senza troppi scrupoli, si fece massiccio ricorso all’amianto». E dopo? «Fortuna ha voluto che comuni e province -ricorda ancora Macro- decidessero di fare da soli, nonostante l’assenza di divieti e di controlli, e di realizzare nuove scuole secondo i nuovi dettami, e cioè senza amianto». Ma sono soltanto il 23 per cento del totale quelle costruite dal 1980 in poi. Eppure c’è stato un giorno della primavera scorsa -il 29 aprile per l’esattezza- in cui la soluzione del problema è sembrata davvero a un passo. Quel giorno il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini volle esprimere pubblicamente la sua «massima soddisfazione per l’intesa politica raggiunta dopo l’incontro al ministero degli Affari regionali con il ministro Fitto e il sottosegretario alle Infrastrutture Mantovani per lo sblocco di 350 milioni di euro a favore del piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici».
«Messa in sicurezza»,
quindi, anche dall’amianto, con la completa rimozione delle
strutture pericolose in tutte le 2.400 scuole segnalate. Sembrava
fatta, poco poteva interessare -in quel momento- che i 350 milioni
fossero lo stralcio di uno stralcio, che i fondi per l’edilizia
scolastica italiana continuavano ad arrivare così, in maniera
sporadica e disorganica. C’erano i soldi per l’amianto e questo
bastava. Scuole che stanno per riaprire come se nulla fosse accaduto, scuole nelle quali già dal dicembre scorso è scaduta l’ultima proroga che forniva a enti locali e capi d’istituto una sorta di “copertura legislativa” a proteggerli dalla mancata messa in regola delle strutture. «Oggi dovrebbero solo segnalare le magagne e chiudere tutto» sintetizza Osvaldo Roman, anche lui grande esperto di edilizia scolastica, per dieci anni membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione. Secondo i dati degli ultimi rapporti ufficiali il rischio amianto ha una diffusione per aree della Penisola esattamente inversa a quella delle carenze di edilizia scolastica in generale. E’ al Nord infatti che si tocca il picco più alto, il 10 per cento degli edifici. Al centro meno dell’uno per cento, al Sud pure, mentre nelle Isole la percentuale di scuole a rischio amianto supera di poco il 3 per cento. Ma a rileggere le cronache di questo anno scolastico appena trascorso l’allarme è generale. A Roma è scoppiato il caso della “Bitossi”, una scuola media della Balduina: i genitori hanno denunciato presenza di amianto nella pavimentazione. E sempre a Roma l’amianto è stato segnalato all’Istituto “Villa Flaminia” -dove poi è partita una bonifica- alla media “Anna Magnani”,al liceo del Cinema “Rossellini” e perfino al “Tasso”. Poi Milano, dove anche grazie a rilevazioni aree è stata accertata la presenza di amianto in 34 scuole e avviata la bonifica. Ma altri 15 istituti sarebbero a rischio. E a Palermo, in almeno due scuole -la media “Domenico Scinà“ e il professionale “Luigi Einaudi”- ci sono stati giorni di scioperi e assemblee, senza che la bonifica sia stata ancora avviata. Infine Torino, forse la situazione più difficile, dove la Procura sta indagando sulla morte di 27 docenti, nel sospetto che sia legata alla presenza di amianto nelle aule. Tutto è partito da Domenico Mele, maestro in pensione delle elementari “Don Milani”, colpito da un tumore «riconducibile al prolungato contatto con l’amianto». Prima di morire, due anni fa, a 76 anni, volle farsi ascoltare dai magistrati. E a loro rivelò che i lavori di bonifica in quella scuola erano stati fatti, sì, «ma quando la scuola era in piena attività con insegnati e scolari presenti». Ecco, in Italia l’amianto si combatte ancora così. |