La Cassazione innova sui congedi parentali:
per estendere le tutele non serve una legge speciale

Precarie pagate come prof di ruolo

L'assenza dal lavoro deve essere giustificata dalla maternità

di Antimo Di Geronimo da ItaliaOggi, 3.8.2010

Le docenti precarie assenti per maternità, astensione facoltativa o malattia del bambino hanno diritto ad essere pagate come le docenti di ruolo. È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con una sentenza depositata il 22 luglio scorso (17234). La pronuncia contribuisce a fare luce sulla complessa materia dei congedi parentali.

Che nel corso del tempo ha incontrato molti ostacoli in sede di applicazione. Così da indurre le parti a intervenire ripetutamente in sede negoziale al fine di agevolarne la fruizione. E siccome nel 2007 è stata introdotta una precisazione, proprio per affermare una volta per tutte che la disciplina dei congedi parentali si applica allo stesso modo, sia per i docenti precari che per quelli di ruolo, tale precisazione ha indotto l'amministrazione a ritenere che la disciplina contrattuale precedente non lo prevedesse. In ciò richiamando implicitamente il trattamento più svantaggioso per i precari previsto dal contratto del 1995. E quindi, in sede di contenzioso giurisdizionale, il ministero dell'istruzione ha chiesto lumi alla Suprema corte. Argomentando, però, che l'equiparazione dei trattamenti retributivi in materia di congedi parentali tra precari e personale di ruolo dovesse assumere rilievo solo dal 2007, anno in cui era stata pattuita la clausola che lo prevede espressamente (art.19).

La Corte di cassazione, però, non ha condiviso la tesi dell'amministrazione ed ha affermato un principio secondo il quale l'equiparazione è entrata in vigore già dal 2001. Perché per estendere ai precari il trattamento più favorevole non è necessario disporlo espressamente con una norma speciale, essendo sufficiente che il contratto non preveda espressamente il trattamento più sfavorevole. Insomma, non è il trattamento paritario che necessita di un'apposita clausola. Ma, al contrario, è il trattamento discriminatorio che necessita di una specifica disposizione.

Oltre tutto la materia era già stata fatta oggetto di un chiarimento da parte della Ragioneria generale dello stato, trasmesso agli uffici periferici con una nota emanata il 24 marzo 2009 (33950). In quell'occasione l'amministrazione centrale aveva spiegato che il contratto del 1995 non era più applicabile ai congedi parentali, perché nel frattempo erano intervenuti altri contratti che non avevano recepito il trattamento più sfavorevole contenuto nel vecchio accordo. La Suprema corte, inoltre, ha anche ricordato che la possibilità di applicare il trattamento più favorevole deriva anche da un'apposita previsione contenuta nel Testo unico dei congedi parentali: il decreto legislativo 151/2001. La pronuncia, peraltro, si riflette anche sui casi pregressi perché i crediti retribuitivi hanno prescrizione quinquennale . E dunque i diretti interessati, qualora tale termine non sia ancora decorso, hanno titolo ad intentare azioni per entrare in possesso delle spettanze eventualmente non percepite.

Si tratta, dunque, di un ulteriore passo avanti verso la piena fruizione dei diritti relativi alla tutela della prole che riguarda questa volta la materia retributiva. In epoca recente, peraltro, la Cassazione ha fatto chiarezza anche sulla qualificazione da dare ai congedi parentali (16207/2008). E a questo proposito ha spiegato che «il congedo parentale si configura come un diritto potestativo costituito dal comportamento con cui il titolare realizza da solo l'interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell'altra parte, una mera soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà».