Pensionamenti "coatti": di R.P. La Tecnica della Scuola, 17.9.2009 Con la legge 102 dell'agosto scorso si torna ai pensionamenti legati alla anzianità contributiva. L'Anp contesta la norma e minaccia di chiedere l'intervento della Corte Costituzionale. Torna nuovamente d’attualità la questione del “pensionamento coatto” dei dipendenti pubblici. La norma risale alla scorsa estate, quando venne approvata la legge 133 che, all’articolo 72, prevedeva per le Pubbliche amministrazioni (e quindi anche per il Ministero dell’Istruzione) la possibilità di rescindere in modo unilaterale il contratto di lavoro con i dipendenti che avessero raggiunto i 40 anni di contributi. Con la legge n. 15 del 5.03.2009 le regole vennero modificate e i 40 anni di contributi diventarono 40 anni di effettivo servizio. Con la legge n. 102 dell’agosto scorso si è ritornati ancora una volta ai 40 anni di contributi. Pochi giorni fa il ministro Renato Brunetta ha trasmesso a tutte le Amministrazioni statali la circolare n. 4 che contiene indicazioni operative per dare attuazione alla norma. Intanto è bene precisare che secondo la legge la risoluzione del contratto di lavoro non è un atto obbligatorio, ma è rimessa alla valutazione della Pubblica Amministrazione. Inoltre dall’applicazione della legge sono esclusi sia i professori universitari e i magistrati, sia i dirigenti medici responsabili di strutture complesse. Rientrano invece a pieno titolo non solo i docenti e il personale Ata del comparto scuola, ma anche i dirigenti scolastici. Rispetto alla norma precedente contenuta nella legge 133 dello scorso anno, quella attuale prevede un termine oltre il quale il “pensionamento coatto” non potrà più essere adottato: infatti si dice esplicitamente che la regola vale esclusivamente per il triennio 2009/2011; pertanto a partire dal 1° gennaio 2012 si dovrebbe tornare al meccanismo consueto. Le nuove regole non piacciono per nulla all’Associazione nazionale presidi che sta già mettendo a disposizione le proprie strutture per attivare ricorsi non solo individuali ma anche di carattere generale. L’Anp richiama il principio - contenuto anche nella normativa europea - per il quale il raggiungimento di una certa anzianità non può da solo costituire giusta causa di licenziamento: è in gioco, sostiene l’Anp, “il diritto costituzionalmente garantito alla realizzazione della personalità attraverso il lavoro”. La battaglia giudiziaria si preannuncia insomma lunga e complessa e non è detto che nella prossima legge finanziaria non venga inserita una ulteriore modifica alla legge. |