SCUOLA

Maestro D’Orta: l’ora di religione islamica?
Un modo sicuro per impedire l’integrazione

intervista a Marcello D'Orta, il Sussidiario 20.10.2009

La proposta è arrivata nientemeno che da un ex appartenente di Alleanza Nazionale, il senatore Adolfo Urso. Ed è stata subito accolta dalle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini nonché da Massimo D’Alema, in occasione dell’incontro fra le due fondazioni che rispettivamente fanno capo a loro, Farefuturo e Italianieuropei. Insegnare la religione islamica nelle scuole affiancandola alle ore di religione cattolica. Cori di approvazione e di protesta si sono levati trasversalmente da una parte all’altra degli schieramenti politici, dei giornali e dell’opinione pubblica. Ma qualora ciò si concretizzasse sarebbe davvero un aiuto all’integrazione dei cittadini musulmani in Italia? C’è chi, come il maestro Marcello D’Orta, sostiene di no


Maestro D’Orta, come commenta la proposta portata avanti dal senatore Adolfo Urso e sostenuta da Gianfranco Fini e Massimo D’Alema di affiancare l’ora di religione musulmana a quella cattolica nelle nostre scuole?

Ci sono molte ragioni per le quali non posso dichiararmi d’accordo con la proposta del Senatore Urso. In primo luogo non vedo perché dovremmo contribuire con i nostri soldi a finanziare dei corsi per una religione nella quale non crediamo. La maggioranza degli italiani, quindi dei contribuenti, sono cattolici. Pagare perché si insegni l’Islam mi sembra davvero un nonsenso. Ma questo è il minore dei problemi. Un altro motivo che mi spinge ad essere contrario risiede nel fatto che non tutti gli immigrati sono musulmani, anzi i musulmani sono relativamente pochi. Ci sono immigrati cattolici, ortodossi, copti, induisti, buddisti e via dicendo. Non capisco i motivi di queste attenzioni unicamente rivolte all’Islam.

Sembra però che lei sia particolarmente contrario all’insegnamento dell’Islam, per quale motivo?

L’Islam non rispetta i principi della Costituzione italiana. Come si può considerare giustificare la presenza in una classe italiana di un professore che vada ad insegnare dei precetti che sono contrari alla Costituzione italiana. E poi ci sono numerosi problemi logistici. Islam è una parola che dice tutto e non dice niente. L’eventuale scelta di un docente, per esempio, a chi dovrebbe toccare? E quale islam dovrebbe insegnare? Quello sunnita o quello sciita? Quello fondamentalista o quello moderato? Nella religione cattolica abbiamo un punto di riferimento che è il Papa e la Chiesa. Non dobbiamo vergognarci del fatto che in Italia si insegni la religione cattolica, sembra che facciamo di tutto per censurare che noi siamo un Paese a stragrande maggioranza cattolica.

Quindi è una questione di maggioranza?

Non solo, è anche una questione culturale. La storia italiana, la storia politica, morale, letteraria, artistica è una storia “cattolica”. Dalla Divina Commedia a Manzoni, alle Madonne di Raffaello, alle sculture di Michelangelo. Insegnare la religione cattolica come si deve significa insegnare la nostra cultura, questo può essere un bene in primo luogo per noi, ma anche per gli immigrati.
Qualcuno ha avanzato anche la proposta di insegnare la storia delle religioni, così per salvare capra e cavoli. Non solo questa materia non esiste, ma non esistono nemmeno degli insegnanti preparati, bisognerebbe istituire dei corsi di laurea adeguati, mi sembra davvero una proposta campata per aria.

Tornando all’ora di religione. Alcuni la vedono come un’ora bistrattata, non considerata e a volte lasciata in balia delle fantasie degli insegnanti di turno piuttosto che retta da un’unica guida. È davvero così oggi?

Ai miei tempi ho imparato la religione cattolica a scuola, oltre che in casa. Poi l’ho anche insegnata all’inizio della mia carriera. Adesso è effettivamente così, una materia bistrattata. Ma non è l’unica. Ci sono delle materie a scuola che non hanno peso. L’educazione artistica per esempio non è è adeguatamente considerata, così come l’educazione musicale e la religione. È un paradosso, se ci pensiamo, che l’Italia, paese cattolico, patria di musicisti e detentore del 60% del patrimonio mondiale, veda queste tre “cenerentole” dell’insegnamento nelle proprie scuole. Per questo noi italiani tendiamo ad amare sempre meno il nostro Paese. Per amare qualcosa bisogna conoscerla, se non la si consce è difficile amarla e stimarla. Se penso a Pompei non mi vengono in mente altri siti archeologici al mondo ugualmente preziosi e ugualmente bistrattati. Ora tedeschi e giapponesi vogliono comprare il sito perché spaventati dalla nostra incuria. Bel risultato.

Potrebbe portare squilibrio all’interno del clima sociale di una classe l’innesto di un nuovo insegnamento religioso?

Non penso sia un problema legato esclusivamente all’ora di religione. La scuola di per sé già da parecchio tempo è diventata un sito di anarchia, dove tutti fanno quello che vogliono. C’è una confusione generale e l’istituzione scolastica non ha più da tempo una sua serietà di immagine. Questo è anche colpa della politica, infatti ad ogni nuovo governo il nuovo ministro dell’istruzione sconfessa puntualmente l’operato del precedente. Faccio solo un esempio: negli ultimi anni si è passati dai voti numerici ai giudizi psicologici, poi alle lettere, poi al cosiddetto portfolio (uno zibaldone in cui si mettevano un po’ di voti insieme ai giudizi), e adesso si è ritornati ai voti numerici. C’è da capire che il modello di equilibrio che la scuola offre agli alunni è piuttosto discutibile. E poi l’autonomia scolastica, per quel poco che c’è, è concepita solo come far fare ai direttori quello che passa loro per la testa in merito a questioni risibili. Mentre vengono a mancare decisioni davvero importanti. Quando insegnavo religione avevo un paio di alunni i cui genitori non volevano che seguissero le mie lezioni. Ma la scuola non aveva organizzato alcunché di alternativo per questi ragazzi. Perciò passavano un’ora a non fare praticamente nulla, a volte uscivano dalla scuola, facevano un giro e ritornavano per l’ora successiva.

Qual è il metodo migliore per l’integrazione degli alunni?

Due cose. In primo luogo affermare il principio per il quale quando si va in un paese straniero occorrerebbe un po’ “dimenticare” il paese dal quale si proviene. Gli stranieri dovrebbero adeguarsi agli usi e ai costumi che trovano. Ma la questione più importante è l’urgenza per noi stessi di ritrovare le nostre radici, perché senza queste ultime siamo in balia del primo arrivato, musulmano o altro che sia. Integrazione non significa certo sottomissione, ma se la nostra Costituzione prevede che l’omicidio vada punito con il carcere è necessario che il cittadino musulmano che predica la lapidazione delle adultere, o uccide la propria figlia perché innamorata di un cristiano, cambi in fretta le proprie usanze e si adegui alle nostre. Lo stesso vale per il principio educativo. Nostra preoccupazione è tornare ad educare insegnando in primo luogo quello che siamo, la nostra cultura. Questa, anche se all’apparenza può sembrare il contrario, è la via più giusta per l’integrazione.