La polemica sull'ora di Islam a scuola di Osvaldo Roman, da ScuolaOggi 23.10.2009 Molti giornali nei giorni scorsi hanno riportato la notizia che l’onorevole Urso, aveva lanciato l’idea di un’ora d’insegnamento di Islam nelle scuole e che Fini l’aveva subito fatta sua con l’immediato assenso di D’Alema. Senza alcun approfondimento su cosa avrebbe potuto rappresentare tale ipotesi nel nostro ordinamento si è così aperto un dibattito a ruota libera che purtroppo ha coinvolto le più alte gerarchie cattoliche del nostro Paese. L’UCOII, cauta in queste cose, ha dichiarato di preferire l’insegnamento della storia delle religioni a quello confessionale che deve essere riservato alle scuole coraniche.
Molti critici, a cominciare dalla Lega per finire al cardinale
Bagnasco, hanno interpretato quella proposta come l’intenzione di
affiancare all’insegnamento della religione cattolica, professata
dalla maggioranza della popolazione, è già facoltativo, quello di
una religione minoritaria ed estranea alla nostra storia e cultura
che avrebbe in tal modo ricevuto un trattamento di riguardo rispetto
ad altre confessioni quali l’ebraismo o il buddismo. I più
truculenti nel respingere questa ipotesi, tra i leghisti ma non
solo, hanno richiamato tutte le turpitudini che una certa sbracata
propaganda sanfedista attribuisce all’ISLAM. Sono così fioccati gli
anatemi contro un ISLAM disegnato dal periodico l’Opinione come "un
insieme unico di leggi, politica e morale, una religione totale che
non può conciliarsi col nostro mondo secolarizzato e liberale, in
cui il cristianesimo, venuto a patti con la modernità, è diventato
un patrimonio di cultura e un principio basilare della nostra
civiltà". Anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha bocciato la proposta avanzata da Adolfo Urso interpretandola come la richiesta di un’ora di religione islamica per gli alunni mussulmani nelle scuole statali italiane. Bagnasco motiva il suo diniego sostenendo, in un’intervista al Corriere della Sera, che "l’ora di religione cattolica, nelle scuole di Stato, si giustifica in base all’articolo 9 del Concordato, in quanto essa è parte integrante della nostra storia e della nostra cultura, pertanto la conoscenza del fatto religioso cattolico è condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile. Non si configura, quindi, come una catechesi confessionale, ma come una disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola, l’ora di religione ipotizzata non corrisponde a questa ragionevole e riconosciuta motivazione".Tale tesi sembra così ovvia che a mio parere non contrasta con quanto sostenuto due giorni prima dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace. Questi si era dichiarato favorevole alla proposta, purché assicurando i debiti "controlli", perché, oltre ad essere un "diritto", si eviterebbe che i ragazzi islamici finiscano nel "radicalismo". Secondo il presidente del Pontificio consiglio Giustizia e pace "se si ammettono gli immigrati, essi vengono con la loro cultura e la loro religione e devono inculturarsi nel paese dove arrivano",. "A meno che non scelgano di convertirsi al cristianesimo - perché la libertà di religione è un principio sancito da Dichiarazione dei diritti dell’uomo( e anche dalla Costituzione repubblicana mi permetto di aggiungere) - se scelgono di conservare la loro religione hanno diritto ad istruirsi nella loro religione".Non si riesce a comprendere la piega che ha preso il dibattito, sopra ricordato, su una proposta che poteva semmai essere criticata per la vaghezza del suo annuncio richiamando semplicemente quello che è possibile fare nel nostro ordinamento sulla base della nostra Costituzione e delle normative già vigenti per le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Bastava ricordare che l’articolo 8 della nostra Costituzione prevede ai commi secondo e terzo che le confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, e che i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base d’Intese con le relative rappresentanze. Bastava ricordare che ad esempio l’art. 11 della legge 8 marzo 1989, n. 101 che regola i rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, nel suo comma 4 stabilisce che " La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralista della scuola, assicura agli incaricati designati dall'Unione o dalle Comunità il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici in ordine allo studio dell'ebraismo. Tali attività si inseriscono nell'ambito delle attività culturali previste dall'ordinamento scolastico. Gli oneri finanziari sono comunque a carico dell'Unione o delle Comunità." Non si comprende con quali argomenti giuridici si potrebbe rifiutare un’analoga previsione nel caso di una sottoscrizione di una specifica Intesa stipulata con chi dimostri di rappresentare le comunità islamiche presenti in Italia. Il vero dibattito da farsi con urgenza riguarda proprio questo problema. Riguarda essenzialmente l’individuazione dei criteri per stabilire chi rappresenta tali comunità nel nostro Paese. E’ un tema complesso ma non impossibile da risolvere. Ci vuole una volontà politica da parte del Governo e l’assenza di strumentalismi come quelli che, da molto tempo ad esempio, ancora impediscono la stipula dell’Intesa con la confessione dei Testimoni di Geova. |