Brunetta o Topo Gigio?
L’attualissimo dilemma di un docente
combattuto
Pietro Ratto, 2.11.2009
Illustrissimo
Ministro Brunetta,
sono un insegnante
immesso in ruolo da poco più di due anni, dopo quasi un ventennio di
precariato che ha comportato lunghi periodi di sacrifici, di rinunce
e di ansie per il domani. Ho sempre considerato il mio lavoro come
un grande onore, una meravigliosa opportunità per imparare e per
trasmettere valori educativi importanti, imprescindibilmente
associati a conoscenze indispensabili per ragazzi che intendano
crescere e diventare adulti onesti, liberi e indipendenti. Ho
lottato con i denti per ottenere questo posto che ogni giorno tento
di meritare, senza farmi scoraggiare da continue ordinanze
ministeriali e provvedimenti che, di volta in volta, cambiavano le
regole, richiedevano nuove qualifiche, imponevano ulteriori
certificazioni ed iscrizioni a sempre diverse graduatorie, e che
quasi sembravano fatte apposta per spingere noi aspiranti insegnanti
a cercare un'altra occupazione. Ho studiato (e costantemente
studio), ho vinto concorsi, mi sono messo in coda centinaia di volte
a sportelli di Provveditorati, Segreterie, Uffici scolastici
regionali e provinciali, ecc.
La mia tanto
sospirata immissione in ruolo, però, è giunta nell’era degli insulti
e delle botte ai professori, del bullismo e delle aggressioni ai
colleghi quotidianamente in scena su YouTube, dei ricorsi
contro le insufficienze e le note disciplinari, della comune
convinzione secondo cui gli insegnanti italiani siano tutti
ignoranti. Non Le nascondo, Signor Ministro, quanto sia complicato,
di questi tempi, mantenere alta la dignità di un lavoro che
considero così importante.
Ma c’è dell’altro.
Appena entrato in ruolo ho cominciato a sentirmi dare ufficialmente
anche del fannullone; e non da chi mi conoscesse in qualche
modo (perché, in tal caso, tale nomea non l’avrei certo acquisita),
ma da Lei, Signor Ministro, e da una certa opinione pubblica,
perfettamente allineata ai Suoi pregiudizi e ai Suoi provvedimenti.
Sono rimasto letteralmente indignato, e nel contempo fortemente
stupito, constatando come una legge che “punisce la malattia” di un
dipendente dello Stato sottraendogli una parte di stipendio per ogni
giorno di assenza dal lavoro, sia stata approvata dal nostro
Parlamento, avvallando di fatto una manifesta disparità di
trattamento rispetto ai lavoratori del settore privato e,
contemporaneamente, costituendo una grave ed offensiva presunzione
di malafede nei confronti di tutti i dipendenti pubblici. Ancor più
rimango incredulo di fronte al fatto che un tale provvedimento sia
stato accolto dall’opinione pubblica nazionale senza grandi
obiezioni ma, anzi, quasi con soddisfazione e senso di rivalsa.
Non nego di
essermi imbattuto io stesso in dipendenti pubblici fannulloni;
non nego di aver subito direttamente l’ozio e l’inerzia di chi sta
al telefono dietro a uno sportello facendo aspettare code
interminabili di cittadini. Le Sue regole, però, le Sue ritenute
sullo stipendio di chi si è assentato per malattia, i Suoi periodici
ritocchi alle fasce di reperibilità relative ai dipendenti pubblici
malati, ricadono grossolanamente su tutti, fannulloni o meno, furbi
o zelanti, suonando fortemente offensivi e lesivi della dignità di
chi lavora ogni giorno con onestà e passione. Davanti ai nostri
alunni, Signor Ministro, passiamo quotidianamente per impiegati
ignoranti, dallo stipendio modesto e dalle armi spuntate; facilmente
aggredibili, impunemente offendibili e, da qualche tempo, anche
vergognosamente fannulloni.
In questi giorni
ho dovuto leggere in classe l’ennesima circolare ministeriale che
invita tutti ad attenersi alle norme igieniche necessarie per
fronteggiare la tanto declamata (e recentemente sminuita) emergenza
virus A H1N1. Ho dovuto spiegare a tutti come ci si soffia il naso,
come ci si copre la bocca quando si tossisce, ecc. Ho letto a voce
alta, al cospetto di decine e decine di ragazzi, che chiunque venga
contagiato da influenza è tenuto a restare a casa tutto il tempo
necessario ad evitare ulteriori contagi.
Io, però, non
potrò assolutamente seguire queste disposizioni, Signor Ministro.
Nei limiti del possibile non obbedirò alle cinque regole del vostro
Topo Gigio. A costo di trascinarmi e di svenire sulla cattedra, io
andrò a scuola. Cercherò, sì, di “controllare le mie secrezioni”,
così come le circolari del Ministero ed il buon topo di plastica
raccomandano, ma non sarà certo mia responsabilità se qualcuno si
beccherà il virus da me. Ho una famiglia e, a quanto dicono, vivo in
un tempo di grave crisi. Non posso permettermi di perdere dieci euro
al giorno perché ho la febbre.
Soprattutto,
Signor Ministro, non posso permettermi di alimentare, con una mia
eventuale assenza, questo Suo offensivo stereotipo dell’insegnante
fannullone.
Pietro Ratto
(Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Baldessano Roccati di
Carmagnola)