nella giornata mondiale sul diritto allo studio non privatizzato

Scuola, corteo non autorizzato in centro.
Tafferugli con la polizia e fermati

Quattrocento in piazza. Scontri con polizia e carabinieri,
ragazzi buttati a terra e colpiti a manganellate

 Il Corriere della Sera, 17.11.2009

MILANO - Un corteo non autorizzato di studenti - in particolare quelli del liceo civico Gandhi - e militanti dei centri sociali ha attraversato martedì mattina il centro di Milano, provocando tensioni e rallentamenti al traffico. In piazza San Babila ci sono stati scontri con polizia e carabinieri, durante i quali diversi ragazzi sono stati buttati a terra e colpiti a manganellate. Quattro giovani, tra cui una ragazza, sono stati portati in Questura in via Fatebenefratelli per accertamenti, che dovrebbero concludersi con due arresti e due denunce a piede libero. I due ragazzi, conosciuti dalla Digos come militanti del centro sociale Cantiere, dovrebbero essere arrestati per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, mentre la ragazza (anche lei nota esponente dell’antagonismo milanese) e un quarto giovane sarebbero denunciati a piede libero per gli stessi reati.
 

Intorno alle 9 di martedì mattina circa 400 giovaniappartenenti a diversi istituti superiori, tra cui l’Itsos e scuole civiche, e militanti di alcune realtà antagoniste si sono dati appuntamento in Foro Bonaparte, da dove si sono mossi per il centro cittadino in un corteo non autorizzato per protestare contro l'ennesimo sgombero del liceo civico serale Gandhi, in piazza XXV Aprile, avvenuto sabato scorso. Ma anche per reclamare il diritto allo studio e la libertà di manifestare. Nella piazza non erano presenti forze dell’ordine, e quindi i giovani si sono mossi indisturbati per il centro città e si sono diretti verso la zona di Brera, arrivando agli uffici dell’assessorato del Comune in largo Treves. Qui alcune decine di studenti sono saliti negli uffici, gettando scompiglio. I giovani sono poi usciti e verso le 10 sono stati intercettati da una squadra di carabinieri in assetto antisommossa che li ha letteralmente inseguiti, mentre i ragazzi si davano alla fuga correndo verso piazza della Scala, rovesciando diversi cassonetti della spazzatura e salendo sul tetto di un’auto posta in doppia fila.

In piazza Mercanti, alle spalle di piazza Duomo, i ragazzi sono stati raggiunti da un gruppo ben più corposo di agenti di polizia e carabinieri, sempre in assetto antisommossa, che ne ha circondati una ventina arrivando a fermare i quattro. Nel corso di questa operazione diversi giovani sono stati buttati a terra e colpiti a manganellate, ma nel parapiglia nessuno è rimasto contuso o è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari. I quattro sono stati dunque caricati su un’auto e portati in Questura mentre la ventina di giovani che erano stati circondati sono stati lasciati andare dopo una trattativa con gli altri dimostranti che minacciavano altrimenti di ricominciare a muoversi in corteo. A questo punto a studenti e militanti dei centri sociali è stato permesso di muoversi in un corteo questa volta «autorizzato» che si è diretto in piazza Fontana, dove è giunto poco dopo mezzogiorno, per poi sciogliersi. I giovani hanno lasciato la piazza dandosi appuntamento per le ore 15 per un presidio in piazza San Babila in favore dei loro quattro compagni portati in questura.

Tra i motivi della protesta, secondo quanto riferito dagli studenti, anche l'arresto nei giorni scorsi di cinque militanti dell'area anarchico-antagonista milanese accusati di rapina aggravata per un episodio avvenuto ad ottobre proprio all'Università Statale. Gli studenti del liceo serale Gandhi, per protestare contro la chiusura della loro scuola, nei giorni scorsi avevano occupato la sede delle scuole civiche di via Marsala e il mattino dopo erano stati sgomberati dalla polizia. «Se sgomberano una scuola se ne occupano altre cento», avevano detto gli studenti. In tutta Italia, in occasione della Giornata mondiale di mobilitazione studentesca che quest’anno viene rappresentata con lo slogan «Education is not for sale», molte sono state le manifestazioni per chiedere garanzie sul diritto all’istruzione, da mantenere come un bene pubblico e non privatizzato.

Secondo il ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, i manifestanti «per lo più legati al mondo dei centri sociali, non rappresentano certo i milioni di ragazzi che studiano e si impegnano e che sperano di trovare nelle scuola non un luogo di indottrinamento ideologico ma un'istituzione che li prepari a un vero lavoro».


17 novembre 2009

 

 

Una lettera «bella e poetica » per la Gelmini, che però non ci ripensa: «Ho una grande responsabilità che mi è stata affidata da Berlusconi, c’è aspettativa nel Paese per il rinnovamento della scuola e dell’Università, il mio bambino che è altrettanto importante del mio lavoro, non toglierà spazio al mio impegno con il Paese».Non è lei la prima ministra italiana che aspetta un figlio. Successe a Giovanna Melandri di entrare al governo poco dopo la nascita della figlia e a Stefania Prestigiacomo. Che si concesse un paio di mesi di pseudo-maternità, affidandosi ai suoi collaboratori e ai telefonini, prima di rientrare a pieno ritmo portandosi il figlio nella nursery allestita al ministero.

Le parole di Avvenire hanno colpito anche Mara Carfagna, ministro delle Pari opportunità: «Le trovo giuste, e molto dolci, ci ricordano di quanto sia importante e prezioso il dono della maternità. Ma so altrettanto bene che ogni donna è diversa da un’altra e lo stesso vale per l’approccio alla maternità. Io, peraltro, penso che la scelta di continuare a lavorare fino all’ultimo giorno possibile, non significhi necessariamente trascurare il proprio piccolo: si tratta, semplicemente, di costruire un equilibrio — difficile, ma non impossibile — tra famiglia e lavoro».

Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri e mamma di tre figli ormai grandi, la pensa invece come la Corradi: «Non è vero che basta la qualità del tempo di una mamma per i suoi figli. I bambini piccoli hanno bisogno della loro mamma e ci sono donne, precarie, che non se lo possono permettere. Io sono rimasta a casa fino ai tre anni dei miei figli: ho potuto farlo e non ne sono pentita. Anzi». Certo, la carriera ne risente, ma «nella vita si fanno delle scelte, e un figlio è una scelta importante che merita una riflessione accurata ». E poi non è per sempre che «si fa un passo indietro ». Anche Eugenia Roccella, che a vent’anni era leader del Movimento di liberazione della donna e a trentacinque «una mamma qualunque», di due figli, ma a cinquantacinque sottosegretario alla Salute: «Ho fatto per anni la flessibilità fai-da-te, accettando lavori a termine, contratti che mi lasciassero a casa il più possibile: ho scritto sceneggiature di gialli e fotoromanzi, ma volevo rimanere a casa anche a costo di guadagnare poco e di marginalizzarmi nella carriera». Oggi, pensando alla Gelmini, rispetta tutte le scelte «responsabili» ma resta colpita, un po’ come la Corradi, dal fatto che ancora la maternità «possa essere considerata un ostacolo e non un fatto sociale, che si debba sentire il bisogno di dimostrare che un figlio non è un problema per la vita pubblica di una donna».