Erano finiti in manette per i disordini durante il corteo
Alcune centinaia di studenti li hanno accolti fuori dall'aula

Milano, scarcerati i due studenti
Tensione davanti al tribunale

 la Repubblica 18.11.2009

MILANO - Liberi Matteo Tunesi e Giammarco Peterlongo, i due studenti ventenni arrestati ieri durante il corteo studentesco di Milano, seguito da disordini. Dopo la richiesta avanzata dal pm dell'obbligo di firma per i due ragazzi, il giudice ha concluso l'udienza con una paternale e la speranza che la notte passata in questura sia valsa come esperienza.

"Non volevano far male a nessuno", ha detto l'avvocato Mirko Mazzali che difende i due ragazzi: sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Uno ha dato un calcio a un agente, l'altro un pugno: per il poliziotto, sette giorni di prognosi.

"Non abbiamo fatto niente, abbiamo subìto una carica e ci siamo trovati in mezzo", hanno detto i due aggiungendo di essere "dispiaciuti se qualcuno si è fatto male". Il processo proseguirà il prossimo 25 novembre.

Tunesi e Peterlongo, che in passato hanno già avuto denunce per reati di ordine pubblico riguardo a manifestazioni non autorizzate, sono usciti dal Palazzo di giustizia di Milano accolti da fumogeni, applausi e abbracci degli oltre 300 studenti che dalle 9 di stamattina erano in sit-in davanti il tribunale. "Noi siamo gente che non molla mai" hanno gridato. Alcuni esponevano cartelli con su scritto "adesso manganellateci tutti": il loro corteo è arrivato in Piazza Fontana.

Prima della decisione del giudice, lo sfogo delle madri: "I ragazzi hanno bisogno di persone carismatiche, persone di riferimento, di una società che li accolga", ha detto quella di Gianmarco. "Mio figlio non è uno scalmanato" si è giustificata la mamma di Matteo.

Molto meno accomodante la reazione del vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato: "Non avevamo dubbi che i due studenti arrestati sarebbero stati subito liberati. Nonostante i precedenti penali degli accusati, i poliziotti picchiati e l'interruzione di pubblico servizio. Una prassi, quella della scarcerazione facile e dei processi fissati a distanza, che accomuna il trattamento degli affiliati ai centri sociali ai clandestini, puntualmente rimessi in libertà. Sistema che finisce per rendere più difficile la tutela dell'ordine pubblico da parte delle forze dell'ordine. Che paradossalmente saranno messe sotto accusa, nel classico stravolgimento e deformazione della realtà cui siamo da tempo abituati".