Il Crocefisso nelle aule Pasquale Almirante da DocentINclasse, 4.11.2009
Diciamo subito che alla stragrande maggioranza dei ragazzi, presi
come sono dalle interrogazioni o dai bullismi, dai panici quotidiani
o dalle inefficienze della scuola, non interessa molto che in
classe, oltre la cattedra e più in alto, sopra la testa del
professore, ci sia il crocefisso. Ma alla maggioranza interessa pure
poco che ci sia la lavagna o la carta geografica o il proiettore
multi-mediatico o il computer con i laboratori: loro vogliono il
voto: sufficiente, maledetto e subito per dedicarsi ad altro.
Ugualmente, moltissimi insegnanti, entrando in classe, più che
guardare alla parete, in alto sopra la loro testa, osservano in
basso, sulla sedia per scoprire eventuali spilli, o sul tavolo per
evitare di inficiare le dita con le gomme da masticare abbandonate
dappertutto, a parte i controlli dei videofonini che spiano
chiunque. Se dunque per una volta si lasciassero da parte le solite
accuse, come fa la ministra Gelmini rivolgendosi contro “i giudici
ideologizzati della corte europea” che hanno decretato l’esposizione
del crocefisso “una violazione dei genitori ad educare i figli
secondo le loro convinzioni e una violazione alla libertà di
religione degli alunni", forse ci si capirebbe meglio, anche perché
il dibattito risale al “68 e a scuola i problemi non mancano. Questo
tuttavia non significa che ponendosi la questione, e vista come si è
posta, non merita una soluzione, ma la crociata contro l’ideologia
che vorrebbe “cancellare la nostra identità” appare esagerata, visto
pure che in moltissime scuole mancano pure i banchi e i soffitti
talvolta cadono senza preavviso e senza decreti contro l’inopinato
crollo. L’esposizione del crocefisso in classe non ha bisogno di
sentenze ma solo di un buon governo della scuola, nel senso che
potrebbero essere i docenti, in piena autonomia, a stabilire cosa
fare. La nostra scuola non può andare avanti a colpi di imperio o di
verdetti, ma per alimentazione sapiente di scelte condivise e di
decisioni collegiali, anche perché sembrerebbe assurdo che in una
materia tanto delicata si intervenga per legge, sia della corte
europea e sia domestica. Ogni istituto saprà come regolarsi sulla
base della propria utenza e sulla base delle scelte dei propri
docenti che ogni giorno vivono la scuola e delle scuola ne assorbono
le contraddizioni, più o meno gravi e più o meno tollerabili. Ormai
sono anni che gli esperti più innovativi e lungimiranti invogliano
le scuole a conquistarsi spazi sempre più ampi di autonomia
gestionale, proprio perché ognuna vive una sua particolare,
intrinseca avventura locale e territoriale all’interno della quale
può sperimentare pure di non mettere crocefissi o di lasciare a una
possibile minoranza islamica un’aula per il culto; o di nominare
(fondi di istituto permettendo) un docente di altra religione per
gli alunni di altra religione: chi lo impedisce? Anche questa presa
di posizione forte e generalizzata contro o a favore della sentenza
della corte europea di giustizia sembra avere dunque tutto il sapore
della polemica per ringalluzzire un dibattito già sopito o per
rinfocolare consensi, sfruttando pure i timori della gente per il
diverso come quello della metamorfosi kafkiana. Lo sbaglio profondo
in problematiche di questa natura ci pare consista nell’esasperare i
fatti, nel buttarli subito in contrapposizione fra buoni e cattivi,
usando la lavagna della politica anche perché nessuna sentenza mai
potrebbe entrare nell’autonomia didattica di una scuola che sceglie,
collegialmente, un suo progetto educativo nel quale sia previsto o
meno l’esposizione del crocefisso. Ecco dunque cosa ci attenderemmo
dalla ministra: non dichiarazioni infuocate come: “il crocifisso
rappresenta l`Italia e difenderne la presenza nelle scuole significa
difendere la nostra tradizione”, ma inviti alla tolleranza, al
dialogo, alla moderazione, alle scelte condivise, in combutta con la
democrazia, quella della libera scelta perché libera da
condizionamenti. Fra l’altro ciò che nel “68 era spontanea
ribellione o insofferente ideologia, oggi è stabilito da una corte
europea la cui decisione potrebbe valere anche per tutti gli altri
stati membri: quanto tempo potrà ancora la nostra tradizione avere
luogo, dopo che tante altre sono state divorate dal noto
provincialismo italiano?
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