SCUOLA

Mentire ai propri figli per “proteggerli”,
l’ultima pericolosa tendenza

Luigi Ballerini, il Sussidiario 25.11.2009

Nascondere la realtà. Lo spunto ci viene dall’indagine dell’Università di Firenze secondo la quale i genitori nasconderebbero ai propri figli lo stato di difficoltà economica, continuando le spese nei loro confronti come se nulla fosse, come se tutto andasse liscio, senza problemi. Ne ha già ben scritto Luca Volontè sul Sussidiario. L’argomento è di grande rilevanza e merita un approfondimento.

Nascondere la realtà. È il frutto della patetica illusione di esercitare una dovuta e necessaria protezione. Potremmo anche addolcire il fatto dichiarando che a muovere verso questa scelta sono solo le migliori intenzioni, potremmo pure sforzarci di chiamare in causa la cosiddetta buona fede, ma non servirebbe a niente: nascondere la realtà resta un atto in sé violento che va compreso bene nella sua natura di inganno, a volte magari mieloso, ma sempre inganno.

Innanzitutto partiamo dai genitori. Risulta abbastanza evidente che la prima difficoltà risiede nell’adulto che si trova a fare i conti con una questione personale: la riduzione del cosiddetto benessere materiale rischia di mettere in crisi la concezione di sé, far crollare la stima nei confronti di se stesso. Come soggetto e come genitore. Accade particolarmente al genitore-bancomat, quello che si è infilato nella posizione di dispensare oggetti e benefit a go-go, quello che ritiene che i propri figli possano amarlo e stimarlo soprattutto in virtù degli oggetti esterni al rapporto che da lui possono derivare. Il «non ti farò mancare niente», dichiarato o implicito che sia, presuppone l’esistenza nei ragazzi – ma anche in sé - di un vuoto immateriale che chiede di essere riempito materialmente. “La sicurezza degli oggetti” era il bel titolo di un brutto libro di qualche anno fa, e in effetti è in gioco la sicurezza personale, in primis quella dell’adulto. Quando i punti fermi dell’esistenza sono diventati il raggiungimento di uno status o il possesso di beni monetizzabili, il loro dissolversi dissolve anche la persona. Così i gadget elettronici, le vacanze glamour, i veicoli prestigiosi sono a poco a poco diventate delle rassicuranti body guards. Una questione di sicurezza, appunto. Cui forse possiamo rinunciare noi, ma non i nostri amati.

Prendiamola però dal punto di vista dei ragazzi. Pensare di sottrarli alla realtà è delirio, e pure un delirio cattivo. È delirio perché la realtà si impone sempre, deborda oltre i nostri progetti, tracima di là dalle nostre intenzioni. La possiamo camuffare, distorcere, rinnegare, rimuovere, sconfessare, ma lei imperterrita resta quello che è e prima o poi riemerge potente. È pure delirio cattivo perché presuppone i ragazzi come deboli e incapaci di elaborare soluzioni, pensandoli praticamente inetti nel loro modo di affrontare ciò che accade e in cui si imbattono. Eppure se solo raccogliessimo bene la tradizione fiabesca potremo accorgerci di come anche i più piccoli spesso sono in grado di risolvere situazioni in cui i grandi annaspano. Pollicino non è chiuso nelle pagine dei vecchi libri, l’abbiamo in casa con noi. Può accadere che sia lui a portarci un tesoro imprevisto e imprevedibile che arricchisce tutti, altro che farsi mangiare dall’orco. Dobbiamo però dargliene la chance.

La questione in gioco è delle più rilevanti: aut dalla realtà ci si difende aut la si giudica. Rispetto ai nostri ragazzi dobbiamo recuperare la stima per il loro pensiero e considerare che posseggono tutte le risorse per giudicare, senza che questo voglia necessariamente dire annullare le esperienze di disagio o di dolore, esperienze che esse stesse andranno poi giudicate. Ho sentito dire da una coppia di genitori che avevano nascosto alla figlia decenne la morte della nonna, perché la bimba avrebbe sofferto troppo. Ma era solo loro lo smarrimento di fronte alla perdita di una persona cara e l’incapacità di guardare l’accaduto. Dall’indagine recente abbiamo appreso che ai figli si nasconde anche il fatto che è stato perso il lavoro o che non ci sono più i soldi di prima, per paura che non riescano a sopportarlo e si preoccupino troppo. Si tratta invece della proiezione sul ragazzo della povera debolezza dell’adulto che non riesce a tenere sulla realtà, deluso e amareggiato dalla mancata realizzazione di un’illusione scambiata per desiderio.

La portata di questo errore è ingente: non solo misconosce le risorse e i talenti che i più giovani possiedono, ma inquina il concetto stesso di rapporto riducendolo, quando va bene, alla somministrazione di puri elementi esterni. Invece il bene che arriva dal rapporto non è esterno ad esso, è già inscritto dentro il rapporto, è un prodotto, un di più che prima non c’era. Può certamente essere una cena curata, una tavola ben apparecchiata, un regalo desiderato, il motorino o la pizza fuori, ma non solo. È anche un di più di stima, un’iniziativa originale, un passo nel reale, un pensiero nuovo, un incoraggiamento necessario, una correzione amorevole, una difesa opportuna, un apprezzamento sincero del talento dimostrato. Prodotti tutti di enorme valore, non immediatamente calcolabili in euro, seppur capaci di produrre anche euro in seguito per le opportunità che spalancheranno.

Rispetto ai ragazzi non è della capacità di spesa che dobbiamo preoccuparci, piuttosto della nostra capacità di investimento. Investimento su loro, con la forma del credito concesso alla loro capacità di cavarsela, di giudicare ciò che accade, fino alla libertà di permettere loro di darci una mano. Proprio come Pollicino. E senza neanche bisogno di abbandonarlo nel bosco.