Levi Strauss e il crocefisso: di Aluisi Tosolini, Pavone Risorse 4.11.2009
Due notizie hanno
coabitato in questi due giorni sulle prime pagine dei quotidiani e
nelle aperture dei telegiornali: la sentenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo di Strasburgo sul crocifisso nelle aule
scolastiche in Italia, e la morte di Levi Strauss, il padre della
moderna antropologia culturale.
La polemica sul crocefisso: ancora?
Pare non si
potesse vivere senza la nuova polemica sul crocefisso nei luoghi
pubblici. E infatti prontamente tutte le forze politiche
(sostanzialmente concordi: non si sa mai che i cattolici…. – o forse
sarebbe meglio dire le gerarchie cattoliche? – si arrabbino e ci
facciano perdere voti) si sono schierate bipartisan sulla questione. Con estrema sintesi il ministro Luca Zaia (si veda il suo blog http://www.lucazaia.it/ al giorno 17 ottobre 2009) scriveva a riguardo della proposta dei suoi alleati di istituire l’ora di islam: L'ora di religione cattolica obbligatoria per i musulmani nelle nostre scuole serve a far capire a loro perchè noi siamo così e quali sono i risultati del cristianesimo e cattolicesimo profondamente radicati nella nostra società. L'ora di religione islamica? Usando il linguaggio rugbystico, la proposta di Urso è una 'mischia al centro'. Il vero tema è obbligare gli islamici a studiare la nostra religione. Non è un processo di evangelizzazione ma di conoscenza e consapevolezza della nostra religione.
Rileggo: obbligare
gli islamici a studiare la nostra religione… E rileggendo io spero
che nessuno creda davvero che il cristianesimo ed il cattolicesimo
siano alla base di quello che siamo diventati. Visto che il
messaggio evangelico è completamente altro rispetto a quanto
proposto.
Andando indietro nel tempo…. Quasi otto anni fa, i primi giorni di gennaio 2002, proprio su PavoneRisorse, pubblicavo un lungo pezzo intitolato Togliere o aggiungere? Una riflessione di filosofia dell’educazione e dedicato proprio alla annosa questione se togliere o no il crocefisso dalla aule.
Andando a
rileggere ieri quella riflessione ho pensato che la sostanza di
quanto scrivevo allora è, per quanto mi riguarda, ancora valida.
Sono cambiati (ma neppure tanto) alcuni elementi di contesto: per il
resto tutto è rimasto eguale.
I luoghi pubblici come polifonia piuttosto che come asettico deserto
I luoghi pubblici,
e tanto più i luoghi in cui si costruisce nuova cittadinanza e nuove
cittadinanza come la scuola, non devono essere pensati come luoghi
asettici, come luoghi desertici e vuoti, ma al contrario come luoghi
polifonici dove la pluralità delle differenze imparano ad interagire
sino a mettere al mondo le plurime differenze capaci di tessere
nuove relazioni sociali inclusive e rispettose dei diritti di tutti.
Sul versante della mia appartenenza al cristianesimo cattolico….
….beh…. sul questo
versante devo invece ribadire che l’identificazione del crocefisso
con la cultura occidentale mi fa ribollire il sangue.
Provo a
descrivere il tutto con un esempio che mi riguarda personalmente
(…anche la rubrica interculturale di pavonerisorse è attraversata da
venature "narratologiche"..). a. sul versante della mia appartenenza alla comunità cristiana: mi turba un po’, infatti, che persone e/o gruppi che nulla hanno a che fare con la cristianità intesa come fede religiosa e comunità di credenti si ergano a difensori della cristianità utilizzando il concetto di "civiltà cristiana" come sinonimo di "civiltà occidentale", intesa spesso come civiltà superiore. Detto in altri termini: la cristianità non si identifica con l’occidente. Se così fosse tutta l’attività cosiddetta missionaria dovrebbe coincidere con l’occidentalizzazione della persona che si converte al cristianesimo. Che ciò sia successo per secoli è vero, ma che questa modalità sia superata è cosa fuor di dubbio nel mondo cristiano. Nessun missionario sostiene più l’antico adagio che ha guidato intere stagioni della vita della chiesa nella sua missio ad gentes: evangelizzare per civilizzare, civilizzare per evangelizzare. b. sul versante della laicità mi lascia perplesso l’uso di parametri religiosi (fosse anche solo a livello semantico) per descrivere una società. Così facendo si rischia di cadere proprio in quella posizione che si contesta ad altri e che si chiama, occorre pur dirlo, fondamentalismo. In questo caso ciò che viene messo in crisi è il principio di laicità secondo cui l’appartenenza religiosa non può in alcun modo interferire a livello di "cittadinanza" e di diritti. Il che non significa, sia chiaro, che la "polis" si definisca agnostica. Al contrario: il fatto di non avere una religione di stato non implica il rifiuto delle religioni quanto piuttosto l’apertura massima nei confronti di ogni cittadino, di ogni uomo e donna nella loro integralità. E quindi anche nella loro dimensione religiosa. E’ anche chiaro che questo ragionamento non ha nulla a che vedere con il fatto che il cristianesimo sia uno degli elementi cardine, dal punto di vista storico, della nostra società. Confondere, fino a far diventare sinonimi, i termini società occidentale e cristianità può solo portare a gravi fraintendimenti. I primi a rigettare tale confusione sono (o almeno dovrebbero essere) proprio i cristiani. Se infatti il cristianesimo risulta strutturalmente legato ad una cultura non si vede come sia possibile sostenere la sua cattolicità, il suo essere cioè universale. Il suo interrogare tutte le culture e tutti gli uomini.
Dopo quasi 8 anni….l’ora delle religioni
Sono passati otto
anni da quando scrivevo queste riflessioni. Da allora molte cose
nella mia vita sono cambiate. Ho cambiato mestiere, sono invecchiato
(non per questo diventando più saggio, ma di certo più impaziente),
sono diventato nonno, ho scritto molti altri libri e frequentato
molti altri convegni cercando di argomentare la posizione
interculturale di matrice interazionista piuttosto che
integrazionista…
Il cerchio si chiude attorno al punto di partenza
E così siamo
tornati al punto di partenza.
Grazie Claude Levi
Strauss. Nei tuoi cento anni di vita hai attraversato il novecento
consegnando al nuovo secolo una lezione che appariva già in tutta la
sua lucidità nel testo sui Nambikwara del 1948. |