LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA

Copyright dei simboli

di Alessandro Russello da Il Corriere del Veneto, 5.11.2009

Se su quella croce non ci fosse Cristo ma un cristo qualsiasi — magari santo o magari peccatore — ne sarebbe già disceso e avrebbe gettato la spugna. Avrebbe scioperato, si sarebbe dimesso o, Brunetta permettendo, si sarebbe dato malato. Troppe polemiche sul suo diritto ad essere simbolo per restare inchiodato alle proprie responsabilità di assuntore dei peccati del mondo. Ma Cristo, il Cristo vero, è nato per soffrire e su quella croce resiste come verità rivelata (per i credenti) e icona spitiruale (per chi non crede) da duemila anni. Non per questo, però, non si esimerebbe dall’intervenire, e facendolo con la voce e i modi che aveva dal sobrio pulpito della straordinaria letteratura cinematografica di Guareschi-don Camillo si arrabbierebbe assai per l’ultima guerra scatenata. Guerra di ricorsi e tribunali, sentenze e controsentenze, poteri statali e continentali. Guerra religiosa, ideologica, guerra dai tratti talebani sia sulla sponda laica che su quella cattolica.

Da una parte c’è la multa inflitta dalla Corte europea per i diritti dell’uomo all’Italia per il caso Abano, Corte secondo la quale la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione di libertà di religione degli alunni. Dall’altra, notizia di ieri, la controcrociata di un sindaco veneto dell’Udc che brandisce un’ordinanza con la quale punisce chiunque non esporrà il crocifisso nei luoghi pubbici. Al netto delle sensibilità e liceità singole e collettive, ci sembrano entrambe posizioni iper-ideologiche che vanno contro la carne dell’uomo e della storia, la laicità e la stessa religione. Sciocco e inutile togliere, soprattutto oggi, Cristo in croce non solo e non tanto perchè verità-icona di una religione che affonda nella civiltà di un Paese, ma perchè figura centrale (non la sola ma centrale) per gli stessi atei più o meno «devoti » in virtù della sua provocazione rivoluzionaria, del suo essere continuo «scandalo» nella società che con una voce ipocritamente lo prega e con altre mille continua a crocifiggerlo. Sciocco e colpevole sottovalutarne l’empatia storico-culturale: togliere Gesù dalle pareti è anche rimuovere il Cristo di Giotto e Mantegna, Antonello da Messina e Cimabue e di tutta l’arte che nei tempi l’ha dipinto e scolpito nel suo disperato sacrificio.

Meglio un simbolo del vuoto. D’altra parte, imporre il crocifisso per legge è decretarne la sua morte, svuotarne la sua grandezza. Anche il Cristo catacombale — giacchè oggi tali sembrano diventate la religione e la spiritualità — mai multerebbe chi non lo espone alle pareti. Molti, di questi tempi, assurgono a difensori di Cristo: dalla «Lega crociata» in chiave anti-islamica definita pagana dalla stessa Chiesa, ai cattolici dalla doppia morale con due matrimoni e tre famiglie (c’è anche l’amante) sulla carta d’identità. Serve più pudore nell’arrogarsi il diritto di vita e di morte del Gesù crocifisso, a meno di non sentirsi un Dio che ne possiede il copyright.