Via al
piano per l'integrazione.
I presidi: italiani in fuga, ci sentiamo abbandonati
Una classe di soli stranieri:
è la prima volta
Rivoluzione da settembre nella scuola elementare
di via Paravia.
In aumento gli studenti immigrati
Annachiara Sacchi Il Corriere della Sera
9.3.2009
MILANO - Wou, Ahmed, Yan, Amir. C'è una classe a Milano, o meglio ci
sarà a settembre, di soli bambini stranieri. Quindici in tutto.
Nella scuola di via Paravia. Un record per la città: la prima
elementare al cento per cento non italiana. La preside, Agnese Banfi,
sorride serena: «Il mio bacino di utenza è per tre quarti
extracomunitario e non mi sembra che, dall'alto, ci sia una gran
voglia di cambiare le cose». Sono tanti i dirigenti delle scuole di
frontiera che, continuando a perdere studenti italiani, chiedono più
attenzione alle istituzioni: «Ma è tutto inutile, ci sentiamo
abbandonati». Sono 15 mila i giovani stranieri che frequentano
elementari e medie milanesi, 30 mila in tutta la Provincia e 46 mila
se si considerano le superiori. Sono aumentati dello 0,5 per cento
rispetto allo scorso anno e si prevede che cresceranno di almeno un
altro mezzo punto a settembre. Per la loro integrazione l'ufficio
scolastico provinciale, Ismu e Comune hanno avviato Start, progetto
che prevede insegnanti di sostegno, attività di accoglienza,
orientamento, 255 corsi di alfabetizzazione. «Benissimo — dicono i
presidi delle aree "a forte processo migratorio" — ma le iscrizioni
ce le siamo gestite noi».
Il nodo è tutto lì: le quattro scuole polo
(Casa del Sole, Lorenzini Feltre, Tolstoj, Massa) istituite a
gennaio per radunare i bimbi stranieri di Milano e smistarli nei
vari plessi, non hanno fatto in tempo ad avviare le procedure. «E
così — sospira Giovanni del Bene, a capo del plesso di via Dolci, 70
per cento di stranieri nelle materne e nelle prime, — non è cambiato
nulla: gli istituti di élite fanno incetta di iscrizioni e noi
soffriamo. Sarebbe necessaria una migliore distribuzione degli
stranieri». Francesco Cappelli, dirigente al Trotter e titolare di
una scuola polo, replica: «A fine mese presenteremo gli accordi di
rete. Certo, bisogna avere un po' di pazienza, ma è doveroso
distinguere tra straniero e straniero. La maggior parte di questi
ragazzi è nata in Italia e parla la nostra lingua perfettamente».
Qualche esempio: la scuola di piazza Sicilia, plesso chic nei pressi
di piazza Piemonte, ha calamitato i bambini italiani che come bacino
naturale avrebbero gli istituti di via Dolci e via Paravia, entrambi
nella zona popolare di San Siro. In compenso il preside Del Bene
guadagna iscritti upper class alla media Ricci di via Lovere
(quattro classi in più). Sospiro: «Andrà a finire che avremo scuole
per soli stranieri e altre per soli italiani». Come la futura prima
di via Paravia. La preside, che può contare su un bel progetto di
integrazione finanziato dalla Cariplo per il suo 93 per cento di
alunni immigrati (25 nazionalità), non si scompone: «A chi mi dice
di "spalmare" meglio gli studenti rispondo che l'altro plesso che
dirigo è a tre fermate di tram e l'altro ancora è un istituto
speciale (concentrato sui disabili). Ho l'impressione che si faccia
finta di non capire che con un quartiere così denso di stranieri c'è
poco da fare».
Questione di flussi. Bandite le quote
(lo ha ribadito il direttore scolastico regionale, Annamaria
Dominici), i conti difficilmente tornano. Tanto più che diventa
complicato portare i figli in scuole lontane dal proprio quartiere.
«È naturale che le famiglie scelgano l'istituto vicino a casa», fa
sapere Gabriella Colombo, a capo del plesso di via Ravenna, al
Corvetto, con un 70-80 per cento di bimbi extracomunitari nelle
future prime. «Portarli da un'altra parte non è una soluzione
fattibile, vuol dire sradicarli, costringerli a prendere i mezzi».
Emergenza quotidiana. Nella zona di Affori-Bruzzano, al Corvetto, in
viale Monza, in via Padova. E anche se la direzione scolastica ha
appena finanziato 1.032 progetti di scuole lombarde «a forte
processo migratorio» (con un media di 5.300 euro a istituto) per un
totale di 6 milioni e 323 mila euro, non basta. «La situazione è
diventata drammatica». Per questo motivo i presidi degli istituti
Cadorna, Paravia, Calasanzio (tutti nella stessa zona), hanno deciso
di scrivere una lettera aperta alla città. «È la nostra ultima arma.
Speriamo che qualcuno ci ascolti».