UNIVERSITà

Le linee guida della Gelmini:
“risorse in cambio di riforme”

Alfredo Marra, il Sussidiario 30.3.2009

Il Ministro Gelmini ha ribadito pochi giorni fa, a Roma, l’intenzione del Governo di addivenire in tempi brevi alla stipulazione di un nuovo patto tra le università, la politica e il Paese. “Risorse in cambio di riforme” lo slogan riassuntivo dello spirito delle proposte. Le nuove linee di azione lungo le quali il Governo ha intenzione di muoversi riguardano in particolare il sistema di governo degli atenei (la c.d. governance) e il reclutamento dei docenti universitari. Due temi “caldi”, da tempo e insistentemente posti all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica da parte di studiosi e attori del mondo accademico.

a) Sulla governance il Ministro sembrerebbe intenzionato ad assecondare le richieste avanzate dalla Conferenza dei rettori. In sintesi, i punti principali della proposta sono:

1. un ampliamento dei poteri e delle responsabilità del rettore, anche se non è chiaro che cosa ciò comporti concretamente (ad esempio non si capisce se il rettore presiederà tanto il senato accademico quanto il consiglio di amministrazione e se gli sarà dato il potere di nominare direttamente i membri del consiglio di amministrazione e un direttore generale di sua fiducia);

2. una netta separazione delle funzioni di senato accademico e consiglio di amministrazione (quest’ultimo composto in maggioranza da persone esterne all’università – e qui viene da chiedersi: a che titolo? - ).

3. l’attribuzione al dipartimento – quale struttura organizzativa primaria – dei compiti di didattica e ricerca lasciando alle “scuole” o “facoltà” (intese come aggregazioni di un numero considerevole di dipartimenti in aree omogenee) il coordinamento delle attività didattiche e la formulazione di proposte in materia di personale.

4. la possibilità di riorganizzare gli atenei su base federativa, che significa consentire la messa in comune di servizi, strutture e uffici in vista di vera e propria aggregazione di atenei.

b) Per quanto riguarda il reclutamento dei docenti la proposta del Ministro prende le mosse dalla legge Moratti (l. 230/2005) per svilupparsi in una direzione parzialmente diversa. In particolare la proposta prevede un ritorno al concorso nazionale per l’acquisizione di una idoneità scientifica nazionale a numero aperto e di durata quinquennale per ciascun ruolo (ordinario, associato, ricercatore). Tale idoneità non darebbe “diritto al posto”, ma costituirebbe condizione necessaria per l’inquadramento in ruolo. Ferma restando la necessità dell’abilitazione nazionale il reclutamento e la promozione ad un ruolo superiore restano, invece, in capo alle università che dovranno a tal fine bandire apposite procedure di selezione. Per favorire la mobilità si prevede, tra l’altro, l’introduzione di un vincolo per ciascuno studioso di operare per un certo numero di anni dopo il dottorato in un’università diversa da quella in cui ha conseguito il dottorato nonché la programmazione, sulla base di parametri nazionali, delle risorse che ciascun ateneo può destinare alle promozioni interne.

Fermo restando che ogni giudizio nel merito di queste proposte rischia di essere prematuro in mancanza, per ora, di un vero e proprio articolato di legge, le intenzioni espresse dal Ministro sono da valutarsi nel complesso positivamente, con alcuni nota bene.

1. Quanto alla governance si rinvia ad un precedente articolo in cui si evidenziavano da un lato i problemi connessi all’uniformità organizzativa del sistema universitario e, dall’altro, la necessità che accanto alla riforma del governo degli atenei si provveda alla (assai più urgente) riforma della governance del sistema centrale, cioè del ministero.

2. Quanto al reclutamento la direzione è giusta, ma occorrerà anche qui vedere in che modo si provvederà in concreto a disciplinare il concorso nazionale (che rischia di riprodurre antiche farragginosità e lentezze) e, soprattutto, occorrerà completare il quadro attraverso misure riguardanti lo stato giuridico dei professori universitari (in particolare introducendo nuove regole per quanto concerne il rapporto tra attività universitarie ed extrauniversitarie dei docenti e per quanto riguarda la possibilità di differenziare il loro trattamento economico premiando chi più si impegna in ricerca e didattica).

3. Le risorse. Il passato ci ha dimostrato che le riforme a costo zero hanno prodotto effetti perversi. In questo caso addirittura la riforma verrebbe affiancata ad una previsione di tagli per 2010 pari al 10% del fondo di finanziamento ordinario. Risorse in cambio di riforme è un bello slogan che richiama alla duplice responsabilità del governo e delle università nel dare avvio ad un vero processo di cambiamento. Occorre ora passare dalle buone intenzioni ai risultati.