SU «IO
DONNA»
Siamo quelli del 10 in condotta
Ovunque fioccano i 5, ma non al liceo Duca degli
Abruzzi.
Siamo andati a Treviso per capire
Cristina Lacava,
Il Corriere della Sera
27.3.2009
Sarà
pure così buono da meritarsi 10 in condotta, ma non c’è modo di
farlo star zitto. Tale è l’entusiasmo, che basta una
domanda qualunque - cosa vuoi fare da grande? - perché attacchi a
parlare in un italiano che ha del prodigioso, se si pensa che è
arrivato dalla Cina l’estate scorsa. Wei, 17 anni, è uno dei 165
ragazzi d’oro del liceo Duca degli Abruzzi di Treviso che, nel primo
quadrimestre, hanno ottenuto il massimo voto in comportamento. Perle
rare se si considera che quest’anno sono fioccati ovunque i
temutissimi 5: per l’esattezza, 34.311 in tutt’Italia. Voti che, se
confermati a fine anno, porteranno inevitabilmente alla bocciatura,
come stabilito dal ministro Gelmini definitivamente con il decreto
del 16 gennaio. Al Duca degli Abruzzi però, di tali “monellacci” non
c’è traccia: nessun 5 in condotta, pochi 6, tanti angioletti. Ma non
chiamateli così, perché si offendono. «Non sono un santo» si
arrabbia Stefano, che dopo il diploma proverà a entrare
all’Accademia militare. «Sono un giocatore di rugby e credo che
abbiano premiato i miei sacrifici per conciliare lo studio con lo
sport. Quando gli amici mi invitano a uscire, dico di no».
Chiediamo lumi alla preside Maria
Antonietta Piva. Il nostro incontro avviene proprio nel
giorno in cui, con l’ennesimo regolamento, il ministro chiarisce che
il voto di condotta fa media in pagella: il 10, quindi, diventa
importante perché migliora il credito formativo, cioè il punteggio
con cui gli studenti si presentano all’esame di maturità. «Se lo
meritano, perché hanno dato valore aggiunto alla loro comunità»
spiega la dirigente. Come precisato nel Pof (il Piano d’offerta
formativa) del Duca degli Abruzzi, per il 10 servono “partecipazione
al dialogo educativo e attenzione collaborativa alla vita della
scuola, nei suoi valori condivisi”. Questo, almeno, il criterio
adottato nell’istituto trevigiano, perché ognuno fa a modo suo:
«Esistono indicazioni generali per il 5 in condotta, ma non per i
voti più alti» continua la preside. Il loquace Wei, per esempio, sta
facendo conoscere la Cina ai suoi compagni: «Porto le “nuvole di
drago” che cucino io, parlo delle tradizioni del mio Paese, dello
studio». Ogni tanto, ci scappa pure un aiutino in matematica (è
bravissimo) al compagno di banco, Davide, che ricambia con qualche
soffiata in italiano: «Sono solidali come Eurialo e Niso» aggiunge
la preside, latinista. L’integrazione avviene spontaneamente.
Senza divisioni, né in classe né fuori, fra
i neoarrivati e i “figli razza Piave” tanto cari a
Giancarlo Gentilini, l’ex sindaco (ora vice) celebre per le battute
sugli extracomunitari, tipo: “voglio eliminare tutti i bambini degli
zingari”, per cui sarà processato il 4 giugno a Venezia, con
l’accusa di istigazione all’odio razziale. A vederli, questi ragazzi
non corrispondono al ritratto di secchione buono e zitto (magari
anche un po’ spia) che, ai tempi di chi scrive, scontava l’onta del
10 in condotta con l’ostracismo dei compagni. Loro no. «Abbiamo
premiato il senso di responsabilità, dentro e fuori queste mura»
dice la preside. Vittoria, per esempio, arrivata tre anni fa dalla
Moldavia, nei weekend va a suonare e cantare nella casa di riposo
dove lavora la madre. In classe, dà una mano a chi ha bisogno: «I
primi tempi, ho ricevuto un grande aiuto dai miei compagni. Ora
cerco di ricambiare. La scuola è la mia seconda famiglia». Raffaele,
membro del Consiglio d’istituto (lui ha “solo” 9) spiega: «Cerchiamo
di portare le attività extrascolastiche all’interno e di aprire il
Duca alla città, perché la scuola è una cosa viva, non ci sono solo
le lezioni».
Per dire la linea: ai 6 in
condotta, hanno dato come punizione l’obbligo di frequentare per una
settimana i corsi serali per lavoratori, che si tengono dentro lo
stesso istituto. Obiettivo: far capire agli indisciplinati che molti
adulti si rimboccano le maniche per riuscire a studiare, perché la
scuola è un’opportunità preziosa. Ci crede anche Eva, che ogni anno
organizza una vendita di beneficenza per l’Advar, un’associazione
che fa assistenza domiciliare ai malati terminali. «Vendiamo torte e
marmellate fatte in casa in un mercatino in centro città», spiega,
«e rivendiamo oggettini comprati all’ingrosso». Lei avrebbe voluto
anche seguire uno stage, ma le hanno risposto di no, che è troppo
presto. Marco e Ilaria invece sono stati premiati perché, come
rappresentanti di classe, riescono ad appianare ogni conflitto.
Marina, anche lei rappresentante, ogni domenica sera manda sms ai
suoi compagni per ricordare il calendario della settimana. «Cerco di
uscire da me stessa e mettermi nei panni degli altri». Resta un
dubbio: come si traduce tanta disponibilità fra le mura domestiche?
A casa, cari ragazzi, date una mano? Risposte confuse: ogni tanto,
quando me lo chiedono. Meglio così, in fondo: troppa perfezione
stonerebbe. Wei alza educatamente la mano: «Io cucino e metto in
ordine, la sera insegno l’italiano a mia madre». Tagliamo corto: che
cosa vuoi fare da grande? «Non so: mi piace la chimica, l’inglese,
il latino è molto fico. Però anche la matematica...».