La scuola la facciamo noi

Migliaia di genitori hanno creato cooperative o associazioni,
sono diventati gestori di una scuola per non mandare i figli nelle pubbliche

Flavia Amabile, La Stampa 29.3.2009

Ad un certo punto i genitori la scuola se la fanno da soli. Sono migliaia in tutt’Italia, per nulla convinti dell’istruzione pubblica, decisi a dare ai propri figli una formazione diversa. A volte l’hanno trovata in una scuola che stava per chiudere proprio sotto il loro naso. Altre volte hanno deciso di metterne su una nuova di zecca.

Gli istituti gestiti da genitori sono circa 500, più o meno 450 di loro fanno capo al Foe, la rete della formazione di ispirazione ciellina che fa capo alla Cdo, la Compagnia delle Opere. Sul loro sito ci sono tutte le istruzioni, un vero e proprio vademecum su come farsi la scuola: dalle norme in vigore, a come e quali contributi pubblici ottenere, ma anche di come far quadrare i conti .

Leggere il vademecum è il primo passo. Qualcuno si scoraggia e decide di adattarsi alle scuole del circondario. Molti altri invece decidono di andare avanti e affrontano le fasi successive di un’impresa che ha dato nuovo vigore alle scuole paritarie, spesso sostituendo ai preti e alle suore di un tempo docenti e amministratori, pur sempre cattolici, ma laici.

E’ il 1991 quando l’Istituto Santa Dorotea di Viareggio informa i genitori dei suoi alunni che nel giro di quattro anni dovrà chiudere dopo quasi cento anni di vita. «I genitori hanno iniziato ad informarsi sulle varie soluzioni possibili - racconta Patrizia Del Carlo, coordinatrice dell’istituto - alla fine hanno scelto una formula particolare, chi iscrive il proprio figlio può diventare anche socio della scuola». Una cinquantina di euro versate una tantum all’iscrizione e si acquista il diritto a far partecipare il figlio alle lezioni e il genitore alla gestione dell’istituto. Alla fine la retta mensile diventa la somma di tutte le spese della scuola divise per ognuno dei soci: circa 140 euro, mensa esclusa. Il Santa Dorotea è un’elementare, quando i ragazzi passano alle medie i genitori potrebbero anche uscire dalla cooperativa senza alcun costo. Non lo ha fatto quasi nessuno: all’inizio i soci erano cento ora sono quattro volte di più.

Alfonso Corbella era un architetto. Lo è stato per venti anni. Ad un certo punto la scuola scelta per suo figlio si trova in difficoltà. Si tratta di un istituto ‘storico’ di Como, le Orsoline san Carlo, cento anni di attività che all’inizio degli anni Novanta sembrano alla fine. «Le suore si erano trovate a dover dedicare più tempo alle norme dell’Asl che alla preghiera o all’insegnamento della religione», racconta Corbella. Lui una cooperativa ce l’ha già, si chiama Dedalo onlus, ne è il presidente e si occupa di servizi sociali insieme ad un gruppo di altre persone. Tutti con le stesse perplessità rispetto all’ipotesi di mandare i loro figli alla scuola pubblica. In poco tempo i soci diventano una ventina e l’avventura può avere inizio.

E’ il 1996. Per un po’ di tempo ci sono anche le Orsoline al loro fianco perché non è che gestire una scuola sia proprio come bere un bicchier d’acqua se non l’hai mai fatto. «Nessuno di noi aveva una competenza specifica e il mondo della scuola di competenza ne richiede molta. All’inizio dedicavo due pomeriggi della settimana e il sabato mattina a quest’impegno. Da subito ho capito che erano poche». E’ andata a finire che ha abbandonato l’antica professione di architetto e si è dedicato nella scuola a tempo pieno. I risultati? La sua cooperativa rileva anche l’istituto S. Orsola di Roma alle prese con la stessa crisi del gemello di Como e ora, a oltre dieci anni dall’inizio, le due scuole non solo non sono più in crisi ma fanno parte degli istituti parificati in pieno sviluppo: dal 1999 hanno aumentato di oltre il 70% i loro iscritti. E quando Daniele Checchi, docente di Economia alla Statale di Milano ha voluto studiare quali fosseo i migliori licei di provenienza degli iscritti alla sua università l’istituto di Como è risultato fra i migliori.

Vincenzo Silvano vive a Torino. Nel 2000 decide di iscrivere il primo dei suoi quattro figli alla SS. Natale, una scuola paritaria elementare non lontana dalla loro casa. «Non molto tempo dopo un giorno mia moglie torna a casa e mi dice che la scuola sta per chiudere, peccato che all’iscrizione nessuno ci avesse informati». Silvano si occupa di organizzazione del personale in un’azienda, fanno alcune riunioni con gli altri genitori della scuola, molti di loro amici di vecchia data. Decidono di provare. Si mettono in contatto con la Cda. «Nel giro di sei mesi creiamo un’associazione di genitori dividendoci 40 milioni di lire dell’epoca e rileviamo la scuola. In estate tutto è pronto per il primo anno scolastico ma una settimana prima dell’inizio delle lezioni la Curia ci fa uno scherzetto poco simpatico: ci toglie tutte le maestre, le ha fatte assumere nella scuola pubblica come insegnanti di religione. In qualche modo riusciamo a sostituirle con cinque maestre altrettanto brave e partiamo». Nel 2004 Vincenzo Silvano si licenzia, ormai è il presidente della Cdo, intanto nella sua scuola gli alunni da 78 che erano sono più che triplicati arrivando a 250 e le classi stanno quasi per raddoppiare.

Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil, aumentano i genitori stanchi della scuola pubblica. Alcuni hanno iniziato a mettersi in cooperativa e rilevare scuole o a crearne di nuove pur di non far frequentare ai loro figli gli istituti pubblici. Sono in gran parte genitori cattolici.
«Mi sembra un ritorno all’indietro. Se la scuola pubblica ha dei problemi se ne parla, si cerca di migliorarla insieme, in questo modo ci si chiude soltanto e questo mi sembra molto sbagliato».

Evidentemente migliorarla insieme non basta. Questi genitori vogliono altro dalle scuole.
«Mi sembra che questi genitori abbiano un modo di concepire la scuola che è inattuale. La scuola pubblica attuale non va su molte cose, è giusto cambiarla ma va anche riconosciuto che deve essere il luogo dell’apertura, del multiculturalismo, della multireligiosità. In questo caso si creano dei luoghi dove a prevalere è il pensiero unico, dove si cerca di riaffermare le proprie verità, senza confronti. Mi sembra una realtà priva di riscontri in tutto il mondo e comunque di poco respiro».

Priva di riscontri? E gli Stati Uniti?
«In quel caso esistono scuole private che sono il frutto di un modello del tutto diverso che non ha molto a che vedere con la situazione italiana. E lì esiste comunque un presidente come Obama che ha messo la scuola fin dall’inizio fra le priorità del suo mandato puntando sul merito, sulla valorizzazione degli insegnanti».