Un bidello ogni due classi
E Lazio e Campania sono le regioni che spendono
Flavia Amabile, La Stampa 1.3.2009 Il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini lo gridò già alcuni mesi fa che era uno scandalo. «Ci sono più bidelli che carabinieri», disse. Sono oltre 160 mila in tutt’Italia, uno ogni due classi. «Troppi, anche perché in realtà molti servizi sono svolti da ditte private, dalla mensa, alla pulizia vera e propria», fanno sapere dal ministero. E così la Gelmini procedette con i tagli. In realtà se al ministero avessero voglia di andare a guardare fra i loro dati si renderebbero conto che all’interno della galassia dei bidelli si nasconde una situazione confusa, sommersa, dove i controlli sono frammentari e spesso aggirati. Perché esistono i bidelli di ruolo, regolarmente assunti e ufficiali, ma anche i lavoratori addetti alle pulizie assunti con appalti privati. Sono gli Lsu, i lavoratori socialmente utili, o quelli provenienti da cooperative sociali. Possono essere ex-detenuti o tossicodipendenti in fase di recupero, disabili o extracomunitari ed è la loro percentuale ad essere diversa da regione a regione e a provocare, a volte, alcuni picchi di spesa rispetto alla media. Prendiamo la Campania e il Lazio, ad esempio: nel 2007 rappresentano da sole la metà dei soldi richiesti da tutte le regioni italiane per appalti privati di pulizia: su 534 milioni e 500 mila euro la Campania ne chiede 160 milioni e il Lazio 88 milioni. Cifre considerevoli, soprattutto se andiamo a considerare la spesa per ciascuna classe. La Campania in quell’anno chiede 5631,81 euro per ogni classe, e il Lazio 4558,4 euro. Molto più della media italiana di 3818,45 euro. In alcune regioni, insomma, o i bidelli assunti con appalti privati costano di più, oppure sono troppi rispetto alle classi, oppure qualcosa non va. Oltre a Campania e Lazio ad avere dati al di sopra della media sono la Basilicata (4733,72 euro chiesti per classe), l’Abruzzo (4431,05 euro), la Calabria (4129,6 euro). E qualcosa non va davvero in questo denaro richiesto perché a fine 2007 di fronte alle proteste del ministero perché si spende troppo qualcuna delle scuole ridimensiona le pretese tanto che dalle casse dello Stato la cifra effettivamente spesa è inferiore ai 534 milioni e mezzo di un buon 20% circa. I conti non tornano, insomma, e basta dare uno sguardo ad alcune scuole per rendersene conto. Al Circolo Didattico di Cesa, in provincia di Caserta, nel 2007 hanno 75 classi e 75 collaboratori scolastici, uno per classe insomma, e uno ogni 20 alunni, almeno il doppio rispetto alla media italiana che il ministro Gelmini considera già eccessiva. Mentre la spesa è sette-otto volte più alta rispetto alla media: 24.034 euro per classe. La dirigente Adriana Mincione la considera, invece, una situazione normale: «Nel 2007 avevamo almeno 62-63 persone che venivano dai lavori socialmente utili e comunque non è sulla base degli alunni o delle classi che va fatto il calcolo altrimenti non ci si trova più». Secondo la dirigente di Cesa il calcolo va fatto «sulla base dei metri quadrati dell’istituto e comprende anche cortili e palestre». In realtà il ministero da dieci anni ha fatto piazza pulita di calcoli che non siano quelli decisi a Roma. E’ dal 1999 che gli enti locali non hanno più voce nella questione «bidelli» nelle scuole ed è il ministero ad aver stabilito alcuni parametri precisi per il numero dei lavoratori in base proprio al numero degli alunni che dalle parti di Napoli ma anche del Lazio e di alcune altre regioni si rifiutano di prendere in considerazione lasciando campo libero alle interpretazioni private. A Palermo il regolamento comunale prevede un addetto per ogni 180 metri quadrati negli appalti privati, in provincia di Trento si calcola un lavoratore ogni 1455 metri quadrati e in Campania uno ogni 700 metri quadrati di «superficie calpestabile», come chiarisce la Associazione scuole autonome della Campania in una nota ai dirigenti scolastici. Nelle condizioni di Cesa ci sono altre scuole. Al circolo didattico di Teverola, sempre in provincia di Napoli, nel 2007 lavorano in 72 collaboratori scolastici, anche qui quasi uno per classe, e la spesa media per classe è quasi di 23.663 euro. La dirigente di Teverola, come anche quella di Cesa, precisa che alcuni lavoratori sono stati pensionati, altri trasferiti ad altre scuole anche se le cifre sembrano chieste dal loro circolo didattico, una pratica che comunque la normativa sugli appalti non considera corretta. Ma le scuole con richieste superiori alla media sono anche in altre regioni. A Torino c’è il Duca D’Aosta dove le spese per appalti privati per classe sono di 16.275 euro, cinque volte di più rispetto alla media italiana. O c’è il Novaro, con 12.992 euro per classe, quattro volte di più rispetto alla media. «Abbiamo sempre sostenuto che le esternalizzazioni finiscono per creare problemi in termini di costo - avverte Mimmo Pantaleo segretario nazionale della Flc-Cgil - e chiediamo che appalti e assunzioni siano fatti in modo trasparente come anche i tagli, e non vorremmo che ora si scateni una guerra tra poveri, tra bidelli di ruolo e lavoratori esterni. Bisogna garantire il reddito a chi lavora». |