RETROSCENA

L'invasione dell'Onda antagonista

Si temono i "black bloc" e fra tutti i greci che hanno devastato Atene

M. Neirotti, M. Numa, La Stampa 19.5.2009

TORINO
Non è la città della paura, non lo è stata in tanti momenti bui. La Torino di ieri, di questa notte e, soprattutto, la Torino di questa mattina - il centro e i viali percorsi dagli antagonisti del G8 dei Rettori - è quella di un’attesa prudente nonostante voci d’allarme e rassicuranti verifiche. Di certo, mettendo insieme le stime di chi organizza il corteo e di chi dovrà controllarlo, si riuniranno da 4.500 a 6.000 giovani e non giovani di diversa matrice, formazione, idea della protesta. Scarti aggressivi dal percorso, bersagli improvvisati, tentativi d’assedio, di impatti con la forza pubblica sono un’eventualità quasi palpabile misurando gli arrivi di ieri sera e della notte: su una linea comune si muoveranno molte anime, più teste autonome con le loro ambizioni, la loro ricerca di visibilità, il loro concetto di contestazione.

Il pericolo più alto si chiama nichilismo: colpire e distruggere come obiettivo anziché strumento per un fine quale che sia. Una sorta di cammino su un terreno da esplorare prima di portarlo ai giorni di protesta che verranno in giugno a L’Aquila. Da tutta Italia stanno arrivando gli studenti dell’Onda, il movimento universitario, e quelli dei Collettivi che fanno riferimento all’area dell’autonomia. A Torino e nella sua Provincia c’è un forte radicamento anarco-insurrezionalista. La sola città può portare alla manifestazione mille persone, più studenti che si aggregano casualmente. I pullman, i treni, le auto fin da ieri riversano un arcipelago nazionale e internazionale. Sono già arrivati nel pomeriggio francesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, un gruppetto di greci, che si portano addosso l’eco delle devastazioni di quest’estate nel centro di Atene.

La paura dei black bloc di genovese memoria fino a ieri sera era esorcizzata: anche nelle ore più tarde non risultavano arrivi dai loro luoghi d’elezione, il Nord Europa. Ma ci sono gruppi locali anarchici che si sono avvicinati a forme di lotta sempre più sulla via del terrorismo, quello che i Servizi definiscono «a bassa intensità», quello che a Torino già si è manifestato con i pacchi-bomba, con altri ordigni. Inseriti in una manifestazione di questa portata sarebbero micce coperte dalla confusione e dallo scoppio inatteso. L’Italia dell’antagonismo, dei centri sociali, si è mossa per tempo: sette pullman da Roma, tre dal Veneto, quattro da Napoli e altrettanti da Bologna, due da Genova. Dai treni sono scesi palermitani e milanesi. C’è il collettivo universitario della Sapienza di Roma, ci sono centri sociali «duri» come quelli di Rovigo e Padova. Nessuno si nasconde che non sono venuti a reggere candeline a una processione. E, senza enfasi o allarmismi, diventa inevitabile pensare a un laboratorio che già pensa al giugno in Abruzzo, il G8 vero a L’Aquila. Il percorso è lungo, disseminato di obiettivi sensibili. Taglia il centro storico con il Rettorato, prosegue nel quadrilatero dello shopping di alto livello, si dilata nella grande piazza Solferino a trenta metri dall’hotel che ospita i rettori, già bersaglio di un'incursione subito respinta da polizia e carabinieri nella manifestazione di domenica pomeriggio.

Ridiscende costeggiando la stazione e piega in un’area multietnica, commerciale e lì si ritrova di fronte al castello del Valentino - la sede di architettura dove i Rettori stanno concludendo il loro incontro malauguratamente battezzato G8 - da tre giorni off limits, per ventiquattr’ore protetto dai reparti antisommossa. Oltre mille i poliziotti, i carabinieri e i finanzieri che presidieranno oggi Torino. Moltissimi in borghese, confusi tra la folla e nel corteo con i colleghi venuti dalle altre questure. Nel parco del Valentino e lungo il Po, le moto d’acqua, i motoscafi e i sommozzatori del Cnes di La Spezia. Poliziotti a cavallo controllano il parco, gli elicotteri sorvegliano dall’alto. All’esterno della zona calda, i reparti dell’Anticrimine, le volanti del 113, le gazzelle dei carabinieri. Le unità cinofile distribuite nei settori più a rischio. Una parte dell’apparato per forza visibile, ma l’impegno prioritario è quello del controllo senza fronte-a-fronte, dell’intercettare prima che sia necessario reprimere.

Che cosa ci si può aspettare? Il ventaglio delle ipotesi non è altro che lo studio per la prevenzione. E’ la forbice più ampia: da una marcia pacifica che sarebbe il vero successo della protesta (come accadde a Vicenza per la base Dal Molin) alle azioni isolate ed estemporanee, fino al tentativo di innescare una guerriglia. Certo è che l’obiettivo della giornata è il G8 dei Rettori, ma se dovesse prevalere l’area più incline alla violenza e al danno fini a se stessi, occasioni per inventare fughe lampo lungo i sette chilometri del percorso non mancano. E’ altrettanto vero che impegnare se stessi e le forze dell’ordine in scontri più o meno isolati vorrebbe dire raggiungere il castello-simbolo a riunione conclusa e stanze vuote. L’incognita maggiore è nella frastagliata identità dei gruppi arrivati ieri e in arrivo questa mattina. Si richiamano a ideologie di fondo comuni, ma con atteggiamenti spesso contrastanti. Fra loro, le frange del tutto autonome e quelle del tutto prive di un’identità, aggregate di volta in volta, spesso in contrasto e con finalità diverse da quelle di chi ha organizzato la protesta. Molto dipende dal contenimento che si riuscirà a esercitare all’interno del corteo prima che debba venire da fuori.