SCUOLA

Essere bocciati è un male per i ragazzi?
Peggio il buonismo…

Giancarlo Tettamantii, il Sussidiario 30.6.2009

Ho letto l’intervento di Giovanni Cominelli dal titolo “Bocciare: a cosa serve?”, e pur trovando in esso alcuni spunti su cui riflettere, non concordo pienamente sulle sue conclusioni. Già in altra occasione ho avuto l’opportunità di rispondere ad un suo pezzo, che proponeva lo stesso quesito di oggi. Infatti sosteneva, Cominelli, che prima di una scuola che boccia, occorre ricostruirla intorno agli alunni. Anche nell’articolo ultimo, il tema proposto è lo stesso: prima riformiamo la scuola, motivando e qualificando gli insegnanti, poi, solo poi, si potrà bocciare.

Ipotesi che può essere vera, ma soltanto in parte. Si tratta di due problemi diversi. Non c’è un prima e un dopo. Sono problemi che si integrano, ma che possono essere affrontati in modo indipendente l’uno dall’altro. La centralità dell’alunno è certamente fattore fondamentale, così come fondamentale è rivedere le modalità applicative necessarie a valorizzare tale centralità. La scuola – come dice bene Cominelli – ha la funzione di far crescere ciascuno verso la propria meta: ma come? Con sufficienza o con senso di responsabilità? E’ questione questa su cui si dibatte da tempo. La centralità dell’alunno comporta l’individuazione e l’attuazione di diverse condizioni, che coinvolgono in primis gli alunni/studenti, ma anche – giustamente – insegnanti e genitori. Portfolio, piani personalizzati, certificazione delle competenze, libera scelta dei percorsi, ecc. …, modalità importanti che riguardano i percorsi formativi di ciascun ragazzo, ma anche il coinvolgimento degli insegnanti e degli stessi genitori nel processo di proposta educativa degli alunni e degli studenti. E tutto ciò è sacrosanto.

Tuttavia il promuovere o bocciare può anche non dipendere da tutto ciò. Il giudizio che viene dato sul ragazzo è giudizio che riguarda la sua responsabilità nella scuola di oggi. Quella scuola che comunque – se va necessariamente migliorata e resa maggiormente efficace ed efficiente, cosa che il Ministro Gelmini, pur tra mille difficoltà, sta cercando di fare – non può permettersi di passare sopra a carenze e inefficienze insite nel comportamento globale del soggetto. Del resto la scuola è scaduta nella sua capacità formativa ed educativa quando ha preteso di promuovere tutti (ricordiamo bene il “sei politico”, ultimamente ipotizzato in un “sei rosso”) perdendo in autorevolezza, lasciando andare, giustificando tutto e tutti. Bocciare significa porre al ragazzo un termine oltre il quale può andare solo se … solo se responsabilmente ha risposto alle suggestioni tutte date dalla scuola; solo se si è posto dinnanzi alla scuola con la dovuta responsabilità: non è anche questo uno dei compiti della scuola indirizzato a far crescere ciascuno nel conseguimento della propria personalità? Non è sempre vero che una bocciatura si risolve in un fallimento. Una bocciatura, se giustamente valutata e motivata, può aiutare e stimolare l’alunno/studente alla responsabilità personale, a prendere coscienza del suo diritto/dovere all’istruzione e alla formazione, e anche – cosa da non trascurare – a richiamare i genitori e la famiglia ad una maggiore presenza nella scuola e ad un maggior interesse al percorso formativo dei figli. Se è vero che non è la scuola che deve selezionare, ma la vita, è altrettanto vero che la scuola deve aiutare ad acquisire quella “struttura” che consenta all’alunno/studente di porsi e di interagire con competenza nella comunità.

La scuola può – e deve – essere la palestra veritiera per affrontare la vita con coscienza e con consapevolezza. Certo: la scuola va rifatta, va migliorata, ma nell’attesa come aiutiamo i nostri ragazzi a non perdersi nell’inutile buonismo che li circonda? Come li aiutiamo ad affrontare la realtà – qualunque essa sia – con impegno e determinazione? La bocciatura è una modalità valutativa importante dell’atteggiamento dell’alunno/studente di fronte all’impegno scolastico: perché mai non va bene?