Ma con i tagli non c'è futuro Aldo Schiavone, la Repubblica 13.6.2009 I nostri licei sono lo snodo cruciale del sistema educativo del Paese. Negli ultimi decenni – diciamo dalla fine degli anni Sessanta – intorno e dentro vi è accaduto di tutto. C'è più distanza fra una ragazza di oggi e una degli anni Cinquanta del secolo scorso – per esperienze, mentalità, aspettative, modelli di comportamento - che fra questa e una sua coetanea degli inizi dell'Ottocento. E per i maschi, le cose non stanno in termini molto diversi, anche se forse il contrasto è appena meno sconvolgente. E' perciò un autentico miracolo che – pur in mancanza di una politica pubblica degna di questo nome, in particolare per quanto ha riguardato la riqualificazione e la valorizzazione del personale docente – la scuola secondaria superiore italiana abbia in qualche modo retto a questo straordinario mutamento. E se i suoi studenti sono ancora in grado di sostenere il confronto con i loro pari delle più avanzate nazioni del mondo. Qualunque intervento legislativo su questa struttura e sui suoi meccanismi è dunque compito delicatissimo, in cui procedere con estrema attenzione e cautela. Il regolamento ministeriale sul riassetto dei licei varato ieri dal Consiglio dei Ministri in attuazione della legge 133/2008 non riflette pregiudizi ideologici, né fa tabula rasa di un processo di sperimentazione farraginoso ma non inutile che ha attraversato negli ultimi anni più di un cambio di maggioranza e di governo. E questo è senza dubbio un punto positivo. Meno confortante è l'evidente mancanza di risorse finanziarie con cui il ministro Gelmini deve misurarsi, e che traspare, per esempio, dagli equilibrismi cui è costretta per quanto attiene alla quantità complessiva dell'offerta formativa (il numero di ore scolastiche fissato per ogni indirizzo, che vede, in alcuni casi, riduzioni anche drastiche e difficilmente giustificabili sul piano pedagogico). Mentre tutti i grandi Paesi dell'Occidente investono sulla scuola e sull'Università, individuando nella crescita della formazione una via per uscire in avanti dalla crisi, solo l'Italia continua a immaginare di riformare senza investire. Un tragico errore: e non aiuta certo a sopportarlo constatare che, in questo, Tremonti non si sta discostando poi molto da Padoa-Schioppa. L'impianto dei sei licei previsto dal riordino ministeriale – classico, scientifico, delle scienze umane, artistico, linguistico, musicale – è, nell'insieme, abbastanza convincente, e mi sembra rispecchiare in modo sufficientemente coerente il quadro attuale degli studi specialistici non meno che (in prospettiva) quello degli sbocchi professionali. Rilievi più specifici si possono avanzare sul disegno di alcuni indirizzi. Nell'architettura d'insieme il percorso meno persuasivo mi sembra quello dedicato alle "scienze umane" (a cominciare dal nome; forse sarebbe stato preferibile "scienze sociali", per evitare ogni confusione con l'impianto altrettanto "umanistico" del liceo clasico): una novità che andrebbe pensata meglio, anche articolando con più cura i suoi curricula, che si potrebbero centrare con più nettezza rispettivamente sulle scienze storiche e antropologiche e sociologiche da un lato, e su quelle economiche e giuridiche dall'altro. Più in generale, credo si debba fare uno sforzo maggiore per rendere evidente quella che chiamerei una "affinità formativa" fra tutti e sei gli indirizzi, in coerenza con la proclamata – e giustissima - "parità di dignità" fra i diversi percorsi, senza alcuna articolazione di livello fra di loro (una conquista di "democrazia della conoscenza" da non perdere). Un'eguaglianza che dovrebbe risultare più evidente attraverso la riproduzione in ciascuno di essi di un identico "blocco formativo" costruito sull'insegnamento dell'italiano, della storia e della matematica. Lo spazio opportunamente lasciato all'autonomia progettuale di ciascun istituto dovrebbe ruotare intorno a questo irrinunciabile asse comune. Sarebbe auspicabile che su questi temi si aprisse una discussione approfondita e serena nell'opinione pubblica del Paese. Non sono in gioco né problemi di una lontana tecnicità da pedagogisti, né temi su cui scatenare risse ideologiche, ma l'avvenire delle nostre giovani generazioni, e la loro speranza di poter continuare a competere ad armi pari con le avanguardie intellettuali del mondo globale. E sarebbe importante che l'opposizione intervenisse con competenza, rigore e concretezza su queste proposte, come finora non è riuscita a fare (penso soprattutto all'Università), favorendo l'avvio di un grande dibattito nazionale sul futuro dell'intelligenza italiana. Perché è di questo che stiamo parlando. |