Scuola, in 41mila chiedono la pensione
Cresciute le domande d'uscita del 64%
di Pietro Piovani Il Gazzettino,
20.6.2009
ROMA (20 giugno) - La scuola italiana a
fine anno perderà 41 mila persone, fra insegnanti e personale non
docente. Tante sono le domande arrivate all’Inpdap, l’istituto
previdenziale dei dipendenti pubblici. Significa che le uscite sono
aumentate del 64% rispetto all’anno scorso, quando i pensionamenti
furono solo 25 mila. Tanta voglia di lasciare il lavoro non trova
riscontri nelle altre categorie del pubblico impiego, che invece
stanno registrando un tasso di pensionamento uguale o di poco
superiore agli altri anni. Come si spiega allora il dato anomalo
della scuola? Una spiegazione che all’Inpdap provano ad avanzare è
la seguente: l’annuncio di una nuova riforma che colpirà quasi
certamente le donne del pubblico impiego sta convincendo tante
dipendenti ad andarsene appena possibile; e nella scuola la
percentuale di donne è molto alta, quasi l’80 per cento del
personale.
Le domande. Nella scuola le
scadenze per chiedere di andare in pensione sono molto rigide. Le
domande devono essere presentate all’inizio dell’anno, e l’uscita
può avvenire nell’unica finestra disponibile, cioè a settembre. Il
motivo è evidente: non si può consentire a un’insegnante di
andarsene a metà anno scolastico. Per questo è già possibile
calcolare con precisione quanti pensionamenti ci saranno nel 2009. E
la cifra è 41 mila, cioè 16 mila in più rispetto al 2008.
I precedenti. In realtà
basterebbe andare indietro di appena un altro anno per trovare una
situazione simile a quella attuale. Nel 2007 le uscite nella scuola
erano state persino più numerose, ben 50 mila. Allora però la corsa
alla pensione riguardò tutto il mondo del lavoro, e fu la
conseguenza di una riforma previdenziale già approvata: molti se ne
andarono per evitare di essere colpiti dalle nuove regole.
La riforma. Già dall’anno
prossimo probabilmente l’età pensionabile delle donne che lavorano
nel settore pubblico comincerà a salire. Non si sa ancora di quanto:
il governo si è riservato di decidere nelle prossime settimane, per
martedì è fissata una riunione fra i ministri che potrebbe essere
decisiva. Si tratta in ogni caso di stabilire regole uguali per
donne e uomini: oggi in Italia un lavoratore raggiunge l’età della
pensione a 65 anni, una lavoratrice a 60 anni, ma una sentenza della
Corte di giustizia europea ci impone di eliminare (solo per il
pubblico impiego) questa disparità. Sono state avanzate molte
ipotesi di riforma. Una delle più accreditate è quella sostenuta,
fra gli altri, dal parlamentare Pdl Giuliano Cazzola: innalzamento
della soglia per le donne a 61 anni nel 2010, 62 anni nel 2012, e
così via con gradini biennali fino ad arrivare a 65 anni nel 2018.
Naturalmente si tratta ancora di ipotesi, non è ancora detto che le
cose finiranno così; ma è probabile che molte donne, per prudenza,
abbiano chiesto comunque di andarsene. Sia quelle che hanno già
raggiunto i 60 anni, sia forse quelle più giovani che possono
comunque andare in pensione “di anzianità”, ovviamente rimettendoci
qualche euro.
Crescimbeni. A proposito di
Inpdap, il presidente dell’istituto Paolo Crescimbeni ribadisce la
sua contrarietà a ogni ipotesi di fusione con l’Inps o con altri
enti previdenziali. «L’Inpdap ha forti specificità» dice Crescimbeni
«e sarebbe assurdo rinunciarci in nome di supposti risparmi di
gestione che in realtà non esistono». Al contrario, sarebbe molto
più utile «riportare dentro l’Inpdap i tanti dipendenti pubblici che
ancora oggi sono iscritti all’Inps».