Regolamenti incompiuti
e autonomia delle scuole

Rosalba Benzoni, da ScuolaOggi 25.1.2009

I decreti emanati dal governo in attuazione delle “riforme” Gelmini confermano le preoccupazioni e le valutazioni negative che avevamo espresso quando il Parlamento aveva approvato la manovra finanziaria e il decreto 137. Di fronte alle proteste di famiglie, studenti, insegnanti, il governo sembrava aver fatto un passo indietro, e si era prodigato in promesse tanto mirabolanti (più tempo pieno, più autonomia alle scuole, più risorse per gli insegnanti) quanto infondate. Ora i regolamenti approvati (che pur dovranno ancora essere sottoposti ai pareri di legge: particolarmente importante il confronto con le autonomie locali) confermano invece la dura realtà: tagli pesanti e modifiche ordinamentali che colpiranno dall’anno prossimo in particolare la scuola primaria e che, per la nostra provincia, rischiano di essere drammatici.

Si salva, per il momento, sembra, la scuola dell’infanzia per la quale, pur essendo prevista la possibilità di istituire sezioni a tempo ridotto (25 ore settimanali) viene confermato come orario tipo quello di 40 ore settimanali. Si reintroduce però l’anticipo delle iscrizioni per i bambini di due anni e mezzo, senza neppure la rete di protezione di accordi e progetti in sede locale, relegando di conseguenza l’esperienza positiva delle “sezioni primavera” a un ruolo marginale e residuale.

I colpi più gravi li subisce la scuola primaria. A partire dalle classi prime potrà essere attuato, a richiesta delle famiglie, un orario di 24 ore, ma “l’insegnante unico di riferimento” è previsto dai regolamenti (con una arbitraria estensione dei contenuti del decreto e con una indebita ingerenza nella sfera di autonomia delle scuole) per tutte le classi (a regime) per tutti i tempi scuola, escluso solo il tempo pieno; inoltre vengono eliminate le compresenze, sia nel tempo normale (che può essere di 27 o 30 ore) che nel tempo pieno. Si avranno dunque quattro tipi di modello orario, come se il tempo scuola fosse ininfluente ai fini del successo formativo e del decondizionamento sociale.

La portata reale delle novità introdotte si potrà vedere soltanto quando saranno assegnati gli organici alle scuole, e sarà definita l’entità dei tagli in ogni singola realtà. Solo allora, a iscrizioni da tempo concluse, le scuole saranno in grado di sapere e comunicare alle famiglie a quali richieste potranno dare risposta, che modello didattico e quale orario adotteranno, quali insegnanti potranno assegnare alle classi, se vi sarà servizio mensa oppure no. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe accadere: prima di decidere dove iscrivo mio figlio, avrei diritto di conoscere il progetto formativo. Ma questo alla scuola pubblica non è consentito: la sua vita, il suo rapporto con l’utenza, sono perennemente all’insegna dell’incertezza, e chi ci governa e dovrebbe guardare alla sua scuola come alla risorsa più preziosa per il paese, non fa che aumentare la precarietà.

La situazione è particolarmente grave in provincia di Como, dove il tempo pieno vero e proprio praticamente non esiste (cinque scuole in tutto) ma dove era generalizzata un’offerta articolata su orario mattutino e pomeridiano (da 27 a 30 ore) con servizio mensa organizzato utilizzando le ore eccedenti (compresenza) spesso integrate con risorse messe a disposizione dai comuni. Questo modello, molto richiesto dalle famiglie, rischia di scomparire.

In altre realtà (es. in provincia di Milano dove quasi il 92% delle scuole è a tempo pieno) si continuerà a garantire un organico che copre le 40 ore settimanali (30 più dieci di mensa), anche se impoverito dal punto di vista didattico e educativo.

Tutta l’impostazione dei regolamenti è ispirata a una vecchia e burocratica logica di tipo ministeriale. Di fronte all’esigenza di razionalizzare e garantire efficacia e efficienza si interviene con la pretesa sempre più anacronistica di normare tutto dal centro, con esiti paradossali e in alcuni casi esilaranti, come quando si prevede che la deroga al numero di alunni per classe, sulla base di esigenze di edilizia scolastica, sia autorizzata con un piano adottato da MIUR e MEF, o ancora quando si definisce inderogabile il parametro di alunni per istituto tra 500 e 900, salvo situazioni specificate, mettendo fuori norma un gran numero di istituti della nostra provincia perché troppo virtuosi (con oltre 900 e in diversi casi oltre 1000 alunni).

La scuola italiana ha bisogno di un profondo rinnovamento, ma di tutt’altro segno: sulla base di un progetto educativo, di sperimentazioni e monitoraggi che consentano una valutazione delle ricadute, anche a lungo termine, dei provvedimenti decisi. La formazione è un settore troppo strategico per le politiche di equità e promozione sociale, per lo sviluppo economico, per la competitività del paese, perché venga lasciata all’improvvisazione e a decisioni dettate da pure esigenze di risparmio di spesa.

Una strada interessante era stata imboccata dal Ministro Fioroni che nella finanziaria 2008 aveva previsto la sperimentazione di un nuovo modello organizzativo finalizzato ad “innalzare la qualità del servizio ed accrescere efficienza ed efficacia della spesa”. Era un modello fondato sulla decisione e la responsabilità territoriale, definito e gestito in forma integrata dai soggetti (enti territoriali, scuole) coinvolti: un meccanismo che per la prima volta avrebbe spezzato il verticismo delle politiche scolastiche tradizionali del nostro Paese, introducendo forme di flessibilità virtuosa che premiava, con il possibile reimpiego delle risorse, le migliori prassi.

Purtroppo la fine anticipata del Governo Prodi ha interrotto un percorso interessante e innovativo, ricco di potenzialità, un possibile laboratorio per un federalismo vero nelle politiche scolastiche.

Di fronte alle norme sbagliate e improvvide del Governo Berlusconi occorre oggi l’impegno dell’opposizione, con il coinvolgimento più ampio possibile degli amministratori locali, per limitare i danni (i regolamenti possono ancora essere modificati e la loro applicazione può lasciare aperti alcuni margini di discrezionalità da presidiare). I parlamentari del PD stanno valutando anche elementi di illeggittimità che si evidenziano nel percorso legislativo (interferenza con l’autonomia scolastica, incongruenza tra legge, regolamenti, circolari) e che potranno essere rimossi nell’iter di acquisizione dei pareri. Si prevedono anche ricorsi ai tribunali amministrativi. E’ importante che le scuole non siano ora più realiste del Ministro, ma predispongano i propri POF sulla base degli effettivi bisogni, senza autoridursi preventivamente i propri spazi di autonomia. Ma soprattutto è necessario guardare al futuro ed elaborare proposte sempre più definite per un piattaforma di governo della scuola fondata sulla centralità del territorio, con le sue esigenze e specificità, sulla qualità del progetto educativo, sul razionale utilizzo delle risorse, su un forte spirito di innovazione.