Alunni stranieri.
Che ne è della mozione Cota?

di Elio Gilberto Bettinelli, da ScuolaOggi 19.1.2009

A quattro mesi dall’approvazione della mozione Cota sulle classi-ponte per gli alunni stranieri non italofoni, è giunto il tempo di chiederci che ne sia delle sue istanze, se e in che misura siano state assunte dal Ministero, se insomma abbiano trovato un qualche accoglimento negli atti ministeriali, dagli schemi dei regolamenti attuativi delle leggi 133 e 169 alle circolari. Per quanto la situazione non sia ancora del tutto definita, possiamo svolgere una breve disamina degli atti o di parti di atti in cui si tratta degli alunni stranieri.

1. Lo schema di regolamento previsto dall’art. 64 della Legge di conversione 6 agosto 2008, prevede che nella scuola secondaria di primo grado le due ore settimanali della seconda lingua straniera possano essere utilizzate, a determinate condizioni, per potenziare l’insegnamento della lingua italiana agli alunni non italofoni. Si tratta indubbiamente di una chance per questi alunni che soprattutto durante il primo anno necessitano di concentrasi sull’apprendimento dell’italiano. Il problema semmai riguarderà l’effettiva possibilità di utilizzare tali ore (con quale risorse professionali ?), e la loro insufficienza evidente se non si prevedono altri interventi. Rimane comunque del tutto ignorata la questione delle lingue di origine, L1, e del loro riconoscimento nell’ambito scolastico, ma questo problema non poteva essere risolto in un regolamento.

2. L’art. 11 dello schema di regolamento previsto dall’art. 3 della Legge di conversione 30 ottobre 2008 (coordinamento delle norme sulla valutazione) si segnala per alcune rilevanti novità:

- Il richiamo al DPR 31 agosto 1999 n. 395 che equipara sostanzialmente gli alunni stranieri a quelli italiani e non prevede classi “separate”.

- Una sorta di invito a una valutazione “flessibile” degli alunni stranieri nel primo anno di scolarizzazione italiana, attenuando così la rigidità del dettato legislativo dove si parla della necessità che la promozione all’anno successivo sia data solamente se l’alunno raggiunge la sufficienza in tutte le discipline o gruppi di discipline. Tuttavia fra tale invito e la forza della norma legislativa potrebbero sorgere contenziosi e interpretazioni difformi nei consigli di classe e fra di essi.

- L’accesso alla scuola secondaria di secondo grado sulla base della certificazione di otto anni di scuola svolti nel paese di origine anche in assenza di un titolo di studio equipollente a quello finale della nostra scuola secondaria di primo grado. Questa indicazione pare risolvere alcuni pasticci e controversie fin qui presenti.

- L’accesso a istituti secondari di secondo grado avviene previo accertamento della competenza linguistica italiana, eseguito dai docenti dell’istituto, e il raggiungimento del livello A1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento del Consiglio d’Europa. Qui evidentemente fa capolino una delle istanze della mozione Cota. Se da un lato il livello previsto è quello iniziale e quindi il filtro è “a maglie larghe”, dall’altro viene introdotto un principio foriero di passi successivi in direzioni non chiare e pericolose, tanto più che il regolamento non dice che cosa si dovrebbe fare con gli alunni che non raggiungono il livello indicato: mandarli alla scuola secondaria di primo grado, ai centri di educazione permanente, sollecitarli a prepararsi per il prossimo accertamento, istituire classi separate


3. Anche la recentissima Circolare n. 4 del 15 gennaio 2009, sulle iscrizioni, a firma del direttore Dutto, si occupa degli alunni stranieri al punto 10. Vi si ribadisce con forza la validità dei principi e delle indicazioni del già citato DPR 394/1999 e si svolge un discorso articolato che tiene insieme scuola, famiglie e territorio. Le novità più importanti, e a mio parere con aspetti controversi, sembrano essere tre:

- La distinzione fra alunni soggetti e non soggetti all’obbligo di istruzione che è attualmente di dieci anni. I consigli di classe “possono” ammettere i non soggetti all’obbligo anche sulla base di prove per accertarne l’idoneità e di certificazioni e titoli di studio conseguiti. Occorre quindi definire con chiarezza chi sono i non soggetti. In sostanza pare di comprendere che “devono” essere accolti gli alunni di età inferiore ai sedici anni che non abbiano ancora raggiunto i dieci anni di scolarità, mentre gli altri “possono” esser accolti previo accertamento. Fra le numerose questioni che la norma pone e che dovremo approfondire, segnalo per ora l’opportunità che le eventuali prove miranti a rilevare la competenza siano svolte nelle L1 degli alunni.

- L’indicazione a istituti e uffici scolastici territoriali di realizzare accordi anche con gli enti locali al fine di favorire una equilibrata distribuzione della popolazione scolastica straniera per evitare la concentrazione in alcune scuole. L’intento parrebbe quello di voler scongiurare il sorgere e l’affermarsi di scuole-ghetto, negative per l’integrazione e per i percorsi di apprendimento. Se la sollecitazione è positiva in quanto mira a richiamare i dirigenti scolastici e amministrazioni comunali a una visione responsabile dell’integrazione scolastica, tuttavia rischia di far considerare gli alunni stranieri “il problema” da gestire. Intanto non pare corretto e opportuno parlare di alunni stranieri in generale, senza distinguere fra italofoni e non, nati in Italia o da tempo residenti e altri. In secondo luogo pare di capire che potranno essere effettuati spostamenti di alunni stranieri sul territorio. In che modo ? D’ufficio o attraverso forme, diciamo, di persuasione? Segnalo che assistiamo all’individuazione di una parte di popolazione scolastica alla quale si chiederebbe ( non è pensabile di imporre!) di fare ciò che ad altri non è ammesso domandare. Non sorge qualche dubbio relativo all’eguaglianza dei diritti/doveri?

- Infine la circolare ammette che “i collegi docenti possono valutare la possibilità che l’assegnazione alla classe sia preceduta da una fase di alfabetizzazione strumentale e di conoscenza linguistica anche all’interno di specifici gruppi temporanei di apprendimento finalizzati a favorire un efficacie e produttivo inserimento”. Ha senso parlare di “alfabetizzazione strumentale” senza distinguere le età degli alunni di cui si parla? Siamo di fronte a una visione superata dell’apprendimento linguistico. Non è escluso che con ragazzi già lungamente secolarizzati possono funzionare brevi moduli linguistici introduttivi ma certo questo non vale per i bambini.

Qualche gelido soffio del respiro di Cota sembra dunque stia entrando nella scuola anche se non viene imposto alcun modello “separato”, lo impedisce fortunatamente lo scudo del DPR 394/1999 giustamente citato e probabilmente anche un senso pedagogico e democratico presente nell’amministrazione scolastica, ma si propone una sorta di “liberalizzazione” degli interventi. Occorre tuttavia segnalare che altri atti ministeriali si muovono direzioni nettamente positive. Infatti nell’ambito del programma Nazionale Scuole Aperte è prevista un’azione per il sostegno dell’apprendimento dell’italiano degli alunni stranieri che arrivano durante il corrente anno scolastico. Le scuole presentano progetti che potranno essere finanziati. La somma complessiva è di circa 4 milione e mezzo di euro, un po’ inferiore a quella messa a disposizione dal precedente governo e rimasta non spesa per la fine della legislatura. La circolare illustrativa riprende sostanzialmente la proposta messa a punto dagli esperti dell’Osservatorio sull’immigrazione insediato dal precedente ministro Fioroni, e in particolare da Graziella Favaro. L’azione riguarda le scuole secondarie di primo e secondo grado e non prevede affatto classi-ponte ma interventi flessibili e articolati in laboratori e corsi intensivi estivi o nelle prime settimane di settembre, laboratori linguistici da 10 a 6 ore settimanali in orario scolastico con inserimento nelle classi comuni, interventi in parallelo durante l’anno scolastico come tutoring e doposcuola. Un piano dunque che fa tesoro delle migliori esperienze fin qui realizzate nel nostro paese ma che propone anche l’utilizzo di strumenti, testi e sussidi ormai numerosi e si prefigge di monitorare l’efficacia e gli esiti dei percorsi realizzati al fine anche di dedurne linee di azione per il futuro.
Anche qui però una considerazione di ordine generale. Al Programma Nazionale accedono le scuole interessate. Non si tratta di un programma che garantisce a ogni alunno straniero neo-arrivato, in risposta a un bisogno, un “pacchetto formativo” di italiano L2, come avviene in altri paesi. Il bisogno dell’alunno è mediato dalla capacità / volontà della scuola di farsene carico. Ancora una volta dunque non un diritto garantito a tutti coloro che si trovano nella medesima situazione. Si dirà “è l’autonomia, bellezza”. Ma l’istituto autonomo si relaziona con la propria utenza costituita da cittadini con i quali deve trattare, concordare, condividere. I cittadini stranieri nei rapporti con le istituzioni hanno la stessa forza dei cittadini italiani?

La politica scolastica nei riguardi degli alunni stranieri sembra dunque caratterizzata, al momento, da una sorta di approccio pragmatico, con una tendenza al bricolage, che non esclude spifferi preoccupanti e fa emergere non secondarie questioni di principio. Una situazione da seguire attentamente sul piano normativo ma soprattutto da monitorare su quello delle effettive ricadute negli istituti scolastici.