UNIVERSITA'.

I concorsi universitari "pilotati"
danneggiano la scuola e tutti i cittadini:
la riforma Gelmini è inefficace a stroncare la piaga

 Piero Morpurgo, 21.1.2009

Tanto tempo fa, in una chiesa di Roma si svolgevano i funerali di un insigne medievista, il mio maestro Raoul Manselli1. Allora, in quel luogo tetro e buio, un equilibrista dell’accademia e della politica si avvicinò e -con malcelata soddisfazione giacché il maestro scomparso rifuggiva da ideologie e consorterie- mi sussurrò: “da ora lei non vincerà un concorso universitario”.

Era il novembre del 1984 e così è stato.

Il lugubre avvertimento si è realizzato.

Ne ho viste di tutti i colori:

  1. in genere le prove son date per favorire il candidato vincente che tace, però una volta questi si è alzato dopo la comunicazione dei temi e ha chiesto “ma davvero c’entra l’Europa, mi avevan detto solo l’Italia”!

  2. c’è il commissario che segnala al prescelto di scegliere la busta 2 facendo il segno della V con le dita,

  3. pacchi di titoli inviati e tornati intonsi, pubblicazioni mai lette dai commissari,

  4. singolare la circostanza per cui come cambiavano i commissari cambiava il predestinato ed ogni volta ne ero avvisato,

  5. è accaduto – e oggi non è più possibile - che pur di favorire un candidato abbiano rinviato le prove per ricercatore universitario ben 7 anni dopo la presentazione della domanda (ovviamente rifiutandosi di valutare i titoli prodotti in quel lasso di tempo che, per uno scienziato, non sono irrilevanti); in un altro caso la prova è stata rinviata per 3 anni perché il ‘fortunato’ aveva da fare all’estero,

  6. in un caso l’eccesso di zelo fece in modo che la commissione mise sul verbale il nome del vincitore, ma attribuì più punti ad altro concorrente che avrebbe quindi dovuto vincere. Invece no! Concorso annullato, rifatto, rinominato il predestinato,

  7. l’episodio più singolare fu quello di una candidata che – dinanzi a tutti i concorrenti - disse “scusate se faccio la stronza, ma vi dico che questo concorso è per me”! A suo modo onesta.

  8. c’è stata anche la rosa di temi che aveva 3 possibilità: la vita di XY; la produzione di XY; il giudizio della storiografia su XY. Bello! Il concorrente studioso di XY era felice. Solo lui.

  9. frequente è stato lo ‘sviamento’: il candidato non è uno storico bensì un filosofo. Il giochino può avere un meccanismo circolare sicché può accadere che del concorrente si dica: non è un medievista ma un filosofo, non è un filosofo ma uno storico della scienza, non è uno storico della scienza ma un medievista!

  10. non è mancato il dileggio: “questo posto da ricercatore non lo può vincere perché Lei merita una cattedra”; oppure “Lei si che è uno storico di vaglia e fuori ci sono ragazzini che sanno tutto a memoria; però per Lei i tempi non sono maturi”.

Nonostante la giurisprudenza….

Sempre e comunque ha vinto l’allievo di un membro della commissione e ciò in dispregio dell’art. 51 del Codice di Procedura Civile che prevede che nei concorsi sia garantito il principio di terzietà: la Commissione non deve avere interessi e relazioni con i candidati2.

24 anni di concorsi ‘pilotati’!

Ventiquattro anni di concorsi finti! Prima dell’esame ho sempre saputo il nome del vincitore e in un caso l’ho chiesto e ottenuto dalla segreteria di un istituto. Ventiquattro anni di arroganza impudente che diventa imprudente: ho persino ricevuto una lettera che mi comunicava che la competizione era ‘blindatissima’.

Abolire i concorsi?

Il sistema è tale che sarebbe più semplice dire: “all’università si accede per chiamata diretta”. La formula del concorso finto serve a cancellare ogni responsabilità per un domani caratterizzato da inedia nelle lezioni e nella ricerca. In ogni caso è palese che i ‘temini’ organizzati nelle prove per concorso a ricercatore servono ad alterarne gli esiti pertanto vanno aboliti.

Presenza e residenza.

La deriva localistica alla ‘manipolazione’ dei concorsi universitari ha una sua ragione. Oggi non si tratta più di affermare la tradizione di una scuola di pensiero scientifica o storiografica. C’è di peggio. Molto spesso è necessario avere un ‘adepto’ che sostituisca il professore assente perché residente a centinaia di chilometri dalla sede universitaria. Questa consuetudine è tutta italiana e danneggia sia la ricerca sia la didattica. A Oxford, come in quasi tutte le università europee, il pretendere di risiedere in località distanti più di 50 Km dalla sede di servizio è vietato. A dir il vero anche in Italia le leggi sarebbero restrittive giacché il dipendente civile dello Stato ha l’obbligo di stabilire l’effettiva e permanente dimora nel luogo ove si trova l’ufficio (parere Consiglio di Stato 17 aprile 1984, n. 590). Tuttavia in molti disattendono questa prescrizione morale e legale e talora vivono anche a 600 chilometri di distanza dal luogo ove insegnano e lì si presentano il lunedì mattina per poi tornare a casa il mercoledì. Tutti? No, una buona parte.

Scuola e università: un legame spezzato.

L’insegnante di scuola che si presenta a un concorso universitario viene trattato come un alieno: l’attività didattica e l’esperienza accumulata non vengono valutate come se scuola e università fossero mondi del tutto distinti. Una volta non era così: intere generazioni di accademici hanno prima insegnato a scuola e poi all’università (Giovanni Pascoli ebbe il suo primo incarico –nel 1882- al liceo classico di Matera prima di conseguire la cattedra dell’Università di Bologna nel 1906). Il vantaggio del sistema, lo ricordava proprio Raoul Manselli, era duplice: a) fornire alla scuola docenti motivati e preparati; b) trasmettere all’università insegnanti con notevoli capacità didattiche.

Il ‘problema’ riguarda tutti i cittadini non solamente gli studiosi.

Già perché è apparentemente illusoria la giustificazione per cui nell’Accademia si entra per cooptazione. E’ un fatto: oggi l’Università ha il compito di formare insegnanti, medici, professionisti, pertanto se si reclutano in modo clientelare docenti e ricercatori accadrà che chi esce dall’università sarà sempre più incompetente e avverrà che chi sia stato assunto in modo clientelare tenda a riprodurre il sistema con l’ovvio risultato di generare un sistema mediocre e inadeguato. Il problema riguarda tutti i cittadini: un sistema universitario disastrato non può che produrre insegnanti, medici, infermieri, ingegneri, economisti inadeguati.

Non generalizzare…….

Ecco: l’appello a non generalizzare costituisce la via di fuga estrema per negare l’esistenza dei concorsi ‘pilotati’. E’ vero: ci sono professori e ricercatori che sono in facoltà dal lunedì al venerdì e che fanno onore alla didattica e alla ricerca. Occorre però sollevare un dubbio: perché mai chi fa onore all’università non pretende un sistema più rigoroso nei concorsi? Perché gli stessi Rettori non esercitano pubblicamente le funzioni di controllo che spettano loro? Perché non si costituisce un gruppo di professori pronto a sottolineare storture e clientele nonché le incompatibilità evidenziate dall’art. 51 c.p.c?


 

Piero Morpurgo

www.morpurgo.wide.it

1 Su Raoul Manselli: http://e-prints.unifi.it/archive/00000317/01/DSM_CD_1_ schede.pdf pp. 140-147.

2 I rapporti di « conoscenza » tra commissario e candidato nei concorsi universitari e il criterio sintomatico di incompatibilità. L’applicabilità dell’art. 51 n. 4 c.p.c. e dell ‘ex art. 323 c.p.

Sebbene la vigente legislazione ordinaria non contempli una specifica disciplina sulle cause di incompatibilità nei pubblici concorsi, per pacifica giurisprudenza, sono applicabili (per lo più analogicamente) tutte le norme previste a tutela dei fondamentali precetti di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.; art. 51 c.p.c.; art. 36 c.p.p.; art.19 R.D. 12 del 1941, etc.), precetti in relazione alla cui essenziale importanza la stessa Consulta è intervenuta più volte, evidenziandone la stretta connessione funzionale con i valori di eguaglianza (art. 3 Cost.), di pari condizioni di tutti i cittadini nell’accesso ai pubblici uffici (art. 51 Cost.), di efficienza ed indipendenza dell’azione amministrativa (art. 97 e 98 Cost.).

 Segnatamente, per quanto concerne i « rapporti » tra i componenti delle commissioni di concorso e i candidati, principio ormai consolidato è che deve farsi applicazione dell’art. 51 del Codice di procedura civile, sicché la ricorrenza di una causa di incompatibilità, ivi prevista, comporta l’obbligo di astensione del componente (o dei componenti) della commissione e, in caso di violazione di detto obbligo, l’illegittimità degli atti concorsuali.

Come prima si accennava, in ordine all’effettivo ambito di operatività di detta disciplina (ad onta di soluzioni ermeneutiche formalistiche e restrittive, che bene potrebbero essere favorite dal carattere «tassativo» dell’elenco di cui all’art. 51 c.p.c.), un particolare ruolo è stato svolto dal massimo organo della giustizia amministrativa attraverso la formulazione del criterio sintomatico di incompatibilità.

In base ad esso sussiste l’incompatibilità quando « i rapporti personali » fra esaminatore ed esaminando siano tali da far sorgere il « sospetto » che il candidato sia stato giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali ovvero quando sia accertata la sussistenza di rapporti personali diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro e allievo.

Si comprende appieno l’importanza di detto criterio.       

In base ad esso, infatti, anche quando il legame che corre tra commissario e candidato non sia tale da essere icto oculi riconducibile entro i casi tassativi di astensione obbligatoria ex art. 51 c.p.c., sussisterà, comunque, l’incompatibilità se tale rapporto sarà idoneo a generare (anche solo) il sospetto di parzialità, cioè (per volere mutuare un linguaggio più consono al diritto penale) se esso esporrà a pericolo (lesione potenziale e non effettiva) il bene giuridico protetto dall’ordinamento (appunto, l’imparzialità e il buon andamento della P.A.).

Il massimo organo della giustizia amministrativa ha in tal senso specificato che in presenza dei legami testé accennati, idonei a radicare il sospetto di parzialità, non è necessario comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il candidato, essendo sufficiente a radicare l’incompatibilità anche « il solo pericolo » di una compromissione dell’imparzialità di giudizio.

In tal caso, l’effetto invalidante della procedura si verifica sulla base del mero giudizio in astratto ed ex ante circa gli effetti potenzialmente distorsivi del sospetto del difetto di imparzialità, ricollegato alla situazione specificata dal Legislatore e dai principi generali cristallizzati dall’art. 97 della Carta fondamentale, senza che assuma rilievo alcuno il profilo fattuale ex post dell’esito inquinante in concreto sortito. Anzi, è stato ulteriormente precisato che viene a porsi in posizione di incompatibilità il soggetto, chiamato a provvedere sia come autorità monocratica sia quale membro di un organo collegiale, che risulti portatore di un proprio interesse, e ciò anche quando la determinazione adottata non avrebbe potuto conseguire altro apprezzabile esito o perfino quando la scelta sia, in concreto, la più utile ed opportuna per l’interesse pubblico.

La presenza di un interesse personale nella procedura concorsuale, oltre a rilevare sotto il profilo della validità della stessa, può invero assumere importanza anche nell’ambito del diritto penale, ai sensi dell’art. 323 del Codice.

Recentemente, al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta al fine di chiarire i rapporti tra l’obbligo di astensione sancito dall’art. 323 c.p. e le altre norme extrapenali vigenti in materia.

(Intervento del 16 marzo 2006 di Mario G.F. Fiorentino http://dirittolavoro.altervista.org/link4.html).