Rapporto della Fondazione Agnelli:
Matematica, cattedre vuote Al Nord
Stipendi bassi e poca carriera: fuga verso altri
lavori Gabriela Jacomella, Il Corriere della Sera 11.2.2009 MILANO — È la dimostrazione che i numeri, se letti nel modo giusto, possono sfatare miti veri a metà. Ma è anche un allarme. Perché i miti, a volte, possono essere consolatori. In questo caso, quello sui precari della scuola: tanti, troppi, con liste d'attesa infinite. Vero? Falso? Il Rapporto sulla scuola in Italia 2009 elaborato dalla Fondazione Giovanni Agnelli (Laterza, in libreria dal 19 febbraio), che oggi sarà presentato a Roma— con il vicepresidente John Elkann, il sociologo Giuseppe De Rita e il ministro Mariastella Gelmini —, cerca di dare una risposta a partire da una domanda più grande: «La scuola è un rischio per il futuro del Paese? ». Prima di fare un salto sulla sedia, precisiamo: l'interrogativo non è farina del loro sacco (vale a dire, dei 30 ricercatori cui spetta la paternità del rapporto), bensì della commissione che, nel lontano 1983, mise sotto accusa il sistema educativo americano. Per gli esperti della Fondazione torinese, un quesito utile per individuare, senza falsi tabù, i «fattori di rischio» della scuola italiana, oggi. E dunque, per questo rapporto (primo di una serie), un tema centrale: gli insegnanti, le loro carriere. Per capire in che misura sia vero quel che si sente ripetere da tempo. Che sono troppi, che sono vecchi, che con i loro spostamenti non garantiscono continuità didattica. A finire sotto il microscopio, oltre 8.000 graduatorie provinciali; ed ecco sfatato (in parte) il «mito» dei precari. Perché di queste, 1.500 sono esaurite o in via di esaurimento. «La situazione — spiega il direttore Andrea Gavosto — è molto variegata, sia sull'asse territoriale che su quello delle materie. Ci vorranno 19 anni per esaurire le graduatorie di lingue straniere; ma al tempo stesso, nelle aree scientifiche e tecnologiche — le stesse in cui, fuori, c'è la possibilità di un impiego meglio retribuito —, c'è una carenza disperante». Elettronica e matematica, materie sanitarie o economico- giuridiche: è in questi settori che i pensionamenti — con una media «di almeno 30/32.000 cessazioni all'anno» — creano voragini negli organici. Soprattutto, sorpresa, nelle Regioni del Nord. Dove il mercato del lavoro è florido. «Se nelle materie umanistiche gli insegnanti sono la "crema", in quelle scientifiche la scuola si prende il residuo». Il motivo è semplice: l'assenza di una prospettiva di carriera formale. Gli stipendi, tra i più bassi d'Europa (Ocse 2008), raggiungono un massimo di una volta e mezza la busta paga iniziale. A 35 anni di anzianità (in un corpo docente di ruolo dove l'età media è vicina ai 50). «E allora si "fa carriera" avvicinandosi a casa, o passando a scuole "di prestigio"». Le stesse in cui i genitori laureati cercano di mandare i figli. Risultato: «La scuola italiana non fa da ascensore sociale, ma perpetua una struttura che rimane uguale a se stessa».
L'analisi non è confortante. Ma per la Fondazione, esistono
soluzioni concrete e praticabili. Per iniziare: assunzioni dirette e
differenziazione retributiva. «Le graduatorie vanno abolite,
sostituendole con un albo. Saranno le scuole, poi, a emettere un
bando; e i docenti a mandare i curricula. La mobilità resterebbe, ma
con un maggiore incrocio di domanda e offerta». Quanto alle
retribuzioni, «bisognerebbe differenziarle su base regionale e di
materie, ma anche dei ruoli rivestiti. E soprattutto, introducendo
una valutazione delle scuole». Con un «premio» per quelle in grado
di offrire un «valore aggiunto» ai loro studenti. E i prof? «La
maggioranza dei neoassunti è d'accordo», giura la Fondazione.
Chissà, forse è davvero arrivato il momento di cambiare. |