Un giorno i nostri figli non saranno più bocciati, avranno solo “successi differiti”

dal Blog di Giorgio Israel, 23.12.2009

La britannica Professional Associations of Teachers (PAT) ha avanzato la proposta di bandire l’uso della parola «bocciatura» dalle scuole del Regno Unito e di sostituirla con il termine «successo differito»… La preoccupazione degli zelanti educatori è di evitare che gli alunni si demoralizzino. Difatti, secondo loro, l’annuncio di un fallimento potrebbe allontanarli dallo studio per tutta la vita. «Noi vogliamo affermare il principio che i ragazzi non necessariamente ottengono un successo alla prima prova», ha detto il portavoce dell’associazione. D’altra parte – ha concesso – «ammettiamo che non è possibile semplicemente cancellare una parola dal dizionario».

Grazia loro. Tuttavia, quel che i signori della PAT trovano ragionevole è di abolire l’uso della parola nel mondo scolastico. Potremmo farci quattro risate di fronte a questo vero e proprio trionfo del politicamente corretto. Ma anche se è probabile che questa buffonata non farà molta strada, a ben vedere c’è poco da ridere. Non soltanto perché a proporla è un’associazione di insegnanti e non un qualsiasi psicolabile vociante per strada, ma perché, a ben vedere, si tratta della logica conseguenza di un andazzo che va avanti da anni e che ha le sue premesse nell’idea che se uno va male a scuola non paga alcun prezzo ma accumula soltanto «debiti formativi» da ripagare prima o poi, in un modo o nell’altro; di fatto in nessun modo serio. E così come il termine «disabile» si è tramutato nell’espressione «diversamente abile» (largamente usata da noi nelle circolari e nella decretazione), in perfetta analogia i «debiti formativi» diventano «successi differiti». C’è poco quindi da stupirsi: questa è soltanto l’espressione coerente e compiuta della teoria del «successo formativo garantito», pilastro della scuola “democratica”, in cui tutti sono uguali, o meglio, debbono essere uguali per decreto o non per quello che fanno. E se non sono uguali, è colpa della scuola e dell’insegnante.

C’è poco da ridere. Che luogo educativo è una scuola da cui l’insuccesso è bandito per decreto, tutto va bene e nessuno sbatte mai la faccia contro il muro? Il bello è che coloro che accusano chi ragiona come noi di «severismo» (un neologismo degno del livello intellettuale della PAT), sono gli stessi che predicano che la scuola deve essere luogo di formazione dei cittadini. Bei cittadini quelli che sono stati educati a credere che non esistano doveri di alcun tipo, che studiare è un’opzione e che il successo te lo garantisce qualcun altro, che comunque prima o poi arriverà – è soltanto «differito» – che vivono tra otto cuscini di piume, coccolati e viziati per tenerli lontano dall’idea che si possa fallire, altrimenti potrebbero disperarsi e crollare. Altro che fucina di cittadini consapevoli… È una fabbrica di imbelli che, all’uscita dalla scuola, si schianteranno di fronte ai primi inevitabili insuccessi: il lavoro che non si trova, e se lo trovi il datore di lavoro ti sbatte fuori perché nessuno ti ha insegnato a faticare anche quando non ne hai voglia, la (il) fidanzata/o che ti pianta perché sei una lagna di viziato/a, la multa da pagare perché non hai ancora capito che non puoi fare il comodo tuo come a scuola, la dichiarazione delle tasse da fare e non ti va ma non puoi rinviarla all’anno dopo come lo studio della matematica e il funzionario delle imposte non si lascia prendere a pernacchie come il professore.

Per vedere i risultati dell’opera di questi educatori e maestri di retorica che infestano mezza Europa, non bisognerà aspettare. Sono già sotto gli occhi. Non è neppure un «insuccesso differito».