lettere al direttore

Università: più che numero chiuso,
orientamento agli studi

 La Stampa 1.12.2009

Nel 1975, a Palermo, al primo anno di Ingegneria eravamo circa in mille: alla laurea siamo arrivati, credo, in meno di cento. Stessa cosa in Medicina. La selezione la fa lo studio, non occore il numero chiuso. È semplicemente dannoso. Restano fuori tanti che avrebbero fatto bene quella data professione che hanno sognato da piccoli, e per cui magari hanno le doti naturali ideali.

Aboliamo il numero chiuso per il bene delle università e dell’Italia. Nel disegno di legge della Gelmini sulla riforma delle università non c’è nulla sull’abolizione del numero chiuso. L’Italia senza il contributo dei suoi cervelli, applicati su argomenti a loro congeniali, sarà in declino assicurato.

La giusta ricetta è: laurea specifica a chi ha le giuste caratteristiche. Incarichi specifici nella Pubblica amministrazione a chi ne ha la professionalità. Per avere meno disoccupati, da laureati, non serve il numero chiuso, ma creare occasioni di sviluppo, possibilmente guardando anche all’ambiente. Senza trascurare l’eccellenza dei servizi in tutti i settori della Pubblica amministrazione.

GASPARE BARRACO MARSALA
 


Il suo ragionamento sulla selezione è certamente corretto in termini astratti ma non fa i conti con la realtà degli spazi disponibili, del numero dei docenti, delle aule o dei laboratori. È auspicabile che ogni aspirante medico, architetto, fisico o archeologo abbiano la possibilità di studiare ciò che li appassiona e di coronare un sogno, ma non si può pensare che ciò accada in qualunque sede e per qualunque corso.

Oggi già conosciamo storie incredibili di sovraffollamento e non possiamo pensare che non si tenti di rendere vivibile e funzionale l’università: la qualità dello studio è data anche dalla garanzia di avere spazio per seguire le lezioni, studiare, partecipare a seminari e laboratori e avere un rapporto costante con i professori. Ci sono però altre due obiezioni: siamo sicuri che l’università di oggi faccia ancora quella selezione di cui lei è stato testimone 34 anni fa? O finisce per sfornare avvocati, architetti, giornalisti o esperti in comunicazione in numero incredibilmente superiore ai posti di lavoro poi disponibili?

In questo momento in Italia ci sono un terzo di tutti gli architetti dell’Europa a 27, così come nella sola Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia. E poi ci stupiamo che restino disoccupati o emigrino all’estero.

Forse non è una questione di numero chiuso, sarebbe meglio mettere all’ordine del giorno una seria politica di orientamento degli studenti che spieghi dove vanno la globalizzazione, il mondo del lavoro e le professioni. Che apra alle giovani matricole gli occhi sulla realtà, evitando che ciò accada, drammaticamente, dopo anni di studio.