Più bravi se la scuola è unisex

Il boom dei college differenziati. “Le femmine sole rendono di più”

Sara Ricotta Voza, La Stampa 19.4.2009

MILANO
Un quarto delle deputate al Congresso di Washington ha frequentato un college femminile e lo stesso ha fatto, negli Usa, una manager (di successo) su tre. Lo dice uno studio dell’American Enterprise Institute e fra quelle signore al top c’è anche Hillary Clinton. Certo non è ancora diventata presidente degli Stati Uniti ma c’è mancato poco. È lei quindi la «first» testimonial delle scuole single sex, quelle cioè che praticano l’educazione differenziata, ovvero separata, maschi di qua femmine di là. Negli Usa scuole così, come il Wellesley College della Clinton, dagli Anni Novanta hanno registrato un boom straordinario di iscrizioni. Hanno fama di preparare meglio le donne alla competitività e studi e ricerche dicono che è vero. Nei Paesi anglosassoni in generale, infatti, il dibattito è aperto da vent’anni. La scuola mista, ovvero la coeducazione, sul piano teorico ha convinto tutti ma su quello pratico ha deluso molti.

Questi dicono che avrebbe dovuto emancipare le ragazze e migliorare il rapporto con il sesso opposto; invece avrebbe creato il nuovo problema della «vulnerabilità maschile» e accentuato conflittualità e stereotipi di genere.

In Italia questo dibattito non c’è. Ci sono alcune scuole che praticano l’educazione single sex ma la scuola mista, in generale, non viene messa in discussione. Almeno fino a venerdì 24 aprile, quando a Roma (Biblioteca Nazionale) aprirà il convegno internazionale «Modelli di scuola nel XXI secolo: la proposta dell’educazione differenziata per ragazze e ragazzi». Gli organizzatori del convegno (l’associazione Easse: European Association for Single Sex Education) si aspettano proprio che il dibattito si apra, che si promuovano studi, ricerche, valutazioni del successo di un modello e dell’altro. Per questo hanno invitato a Roma alcuni fra i massimi esperti di educazione differenziata nel mondo. Molto attesi l’americano Leonard Sax e l’inglese Sheila Cooper. Il primo, psicologo e fondatore dell’americana National Association for Single Sex Public Education, ritiene un errore pretendere che bambine e bambini possano fare le stesse cose alla stessa età. Sostiene che «le bambine sono in genere più inclini ad accettare l’autorità e ad accontentare gli adulti mentre gli alunni accettano di compiere il loro dovere solo se ne capiscono la ragione intrinseca e se trovano interessante l’attività proposta».

Ricorda poi quanto conti la differenza nel modo in cui vengono gestiti i sentimenti e la volontà di esporsi ai rischi. Di qui la necessità di formare gli insegnanti a un più corretto approccio di genere, per esempio per quanto riguarda l’autostima. «L’atteggiamento del docente nei confronti delle ragazze deve essere di rinforzo e incoraggiamento - dice Sax -, una sana dose di autostima serve a migliorare le prestazioni femminili; di contro i ragazzi che hanno un’alta stima di sé non presentano un rendimento scolastico migliore rispetto a quelli che ne hanno di meno». L’inglese Cooper è direttore della Girls’ School Association e - forte dei dati di recenti ricerche in campo neurologico che hanno confermato che ragazzi e ragazze apprendono, sviluppano e maturano con ritmi differenti - illustrerà le strategie didattiche utilizzate nelle scuole femminili del Regno Unito.

Gli ultimi dati sull’educazione differenziata verranno illustrati dal presidente Easse, Josep Ma Barnils. «Su 112 studi, 46 concludono con parere favorevole alla differenziata, 9 propendono per la mista e 57 non esprimono preferenze. La differenziata è un modello di scuola che ha futuro perché può contribuire a risolvere i tanti problemi che affliggono l’istruzione in tutto il mondo». Fra gli studi presentati ci sarà un’interessante sperimentazione single sex nelle scuole del Bronx.

In Italia l’educazione differenziata è praticata come scelta nelle scuole - private - del circuito Faes (Famiglia e scuola). «Però un po’ mi dispiace che l’omogeneità sia a volte indicata come la caratteristica primaria delle nostre scuole», spiega Carmen Pontieri, preside del centro scolastico femminile Monforte. «La nostra scelta è per l’educazione “personalizzata” e l’omogeneità è un utile strumento, non il fine». Dibattito sì, ma non contrapposizione anche per Cesare Scurati, ordinario di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano. «Eviterei di creare un’ennesima contrapposizione di schieramenti», spiega. «La proposta “separazionista” segnala che la questione del processo di identificazione di genere non deve venire dimenticata, soprattutto nell’età che corrisponde all’istruzione secondaria e fa giustamente presente l’errore di confondere la convivenza con la promiscuità. La proposta “coeducativa” - che va supportata con metodologie adeguate e non presa superficialmente - fa appello ai valori della naturalezza dello stare insieme in una compresenza costruttiva della diversità. In un caso come nell’altro, ad ogni modo, la chiave di volta sono gli educatori».