GENITORI IN CRISI "Dica a mio figlio che papà è morto" La preside: “Padri e madri chiedono alle maestre di comunicare le brutte notizie” Maria Teresa Martinengo, La Stampa 30.4.2009
TORINO Il catalogo di comportamenti che dichiarano la «crisi» del ruolo di genitore è lungo. L’ha stilato - verbalmente, almeno per ora, durante una tavola rotonda promossa dall’Ufficio diocesano di Pastorale della Famiglia - Loredana Orlandini, dirigente scolastica in un istituto comprensivo di una periferia torinese. Non si pensi a problemi legati a una particolare situazione di svantaggio sociale. Siamo a Mirafiori, ma la preside Orlandini assicura che dal confronto con i colleghi emergono comportamenti trasversali ai quartieri, alle condizioni economiche, ai livelli di istruzione. È la bandiera bianca alzata da padri e madri. Loredana Orlandini ha proposto una gamma di esempi, a partire dall’incapacità di parlare della morte di una persona cara e vicina. «Abbiamo avuto alcuni casi - ha raccontato - di genitori che hanno chiesto alle maestre di comunicare al figlio la morte della mamma, del nonno. Salvo situazioni eccezionali, che abbiamo anche incontrato e che hanno richiesto l’intervento dello psicologo e dei servizi sociali, la comunicazione di un lutto molto doloroso va affrontata in un contesto di famiglia. Un papà ha mentito al bambino per settimane sulla morte della mamma, chiedendo alle maestre di dire ciò che lui non riusciva a dire. Ma anche la morte del cagnolino spesso non viene affrontata con maggiore coraggio». Spiegazioni? «La famiglia non sa più preparare alla vita, è semplicemente emotiva ed affettiva. I genitori sono fragili e non riescono a tollerare la frustrazione del loro bambino. Che deve essere al riparo da ogni sofferenza». Così, il dolore viene allontanato, edulcorato... Molto più «in basso» rispetto al tema del lutto, ci sono altri momenti di passaggio, altre «crisi» del processo di crescita, che vengono rimandati, allontanati. Loredana Orlandini ha raccontato di «bambini di 8 anni che in piscina non sanno riconoscere i loro pantaloni perché la madre continua a vestirli come quando avevano un anno, che dormono con il ciuccio o che lo mettono da parte solo a scuola, di bimbi di 4-5 anni che continuano ad usare biberon e pannolini». Per la preside, che di figli ne ha avuti tre, ormai grandi, «certi comportamenti sono un’abdicazione al ruolo di accompagnatori nelle fatiche e piccole o grandi responsabilità della vita». Altri esempi? «Davanti alla scuola materna c’è un problema nuovo: non si sa dove mettere i passeggini. I genitori dicono che i figli, anche di 5 anni, non vogliono camminare così li scarrozzano. Fanno più in fretta ed evitano discussioni. Questo aiuta anche a comprendere perché troppi bambini non sono più capaci di camminare su un terreno che non sia un pavimento liscio. Quante volte mi sono sentita dire che in giardino devo coprire di terra tutte le radici, altrimenti i bambini inciampano. Vorrà dire qualcosa se a sei anni per scendere una scala devono fermarsi ad ogni gradino?». A proposito di scale, qualche tempo fa c’è stata una protesta perché gli alunni di una seconda elementare erano stati spostati dal piano terra al secondo piano per far posto a una prima con bimbi disabili. «I genitori erano sul piede di guerra - ricorda la preside -, volevano che caricassimo gli zainetti in ascensore. Allora ho organizzato un incontro con un esperto che ha chiarito in modo scientifico come i bambini, a quell’età, non abbiano difficoltà a salire due piani di scale con lo zainetto in spalla. L’idea diffusa è che i figli siano sempre troppo piccoli per affrontare le difficoltà». |