Tar: Berlinguer, no a guerra di religione di Roberta Giomini ScuolaOggi 14.8.2009 Abuso di posizione dominante: questo, in sostanza, il motivo per cui la sentenza del Tar del Lazio dichiara illegittimo il contestato “punto” di credito formativo attribuito agli studenti che si avvalgono dell’ora di religione. L’insegnamento della religione cattolica è garantito in tutte le scuole, quello di altre religioni – e molto spesso neanche della materia alternativa - no: questa situazione produce infatti uno squilibrio nell’offerta formativa, accentuato dall’attribuzione del credito a chi sceglie di seguire l’ora di religione. Insomma – sostiene il Tar – siccome la linea di partenza non è la stessa per tutti, non ci deve essere alcun premio alla fine della corsa. Il parere di un organo di giudizio “amministrativo” ha tuttavia innescato una catena di reazioni “politiche”, ben al di là del reale peso del “benefit” accordato agli studenti che si avvalgono dell’insegnamento di religione cattolica dall’ordinanza Fioroni sull’Esame di Stato del 2008.
Abbiamo intervistato l’on. Luigi Berlinguer, oggi europarlamentare
nelle fila del PD, e ministro della Pubblica Istruzione nel 1997,
anno di debutto del nuovo Esame di Stato, con la comparsa per la
prima volta nella scuola italiana dei crediti.
I crediti servono a responsabilizzare lo studente, ad abituarlo alla
logica del merito e alla costanza dello studio, a valorizzare il suo
impegno dentro e fuori la scuola. Ma sono anche un’importante
opportunità messa a disposizione della scuola per aprirsi alle
esperienze formative che i ragazzi scelgono di fare anche fuori
dalla scuola. e per integrare, in modo oculato e sempre gestito dai
docenti, nella valutazione complessiva di uno studente anche le sue
competenze extra-curriculari. Sono convinto che bisogna promuovere
l’idea che il corpo docente possa arricchirsi di più funzioni e
integrare la componente gnoseologica con la capacità di dare spazio
ai talenti, alle curiosità, alle sensibilità che tanti ragazzi
dimostrano di possedere in campi che non rientrano nei saperi
formali
Il 70% delle informazioni che arrivano ai ragazzi proviene da fonti
esterne alla scuola: il peso delle conoscenze acquisite in modo
informale supera oggi quello delle conoscenze formalizzate. Di
fronte a una rivoluzione cognitiva di questa portata, noi
continuiamo a insegnare secondo una gerarchia di saperi ormai
superata. Perfino la questione della sensibilità religiosa viene
interpretata ex cathedra come una disciplina formale, insegnata
secondo le norme di una religione di Stato.
La condivido sul piano del diritto amministrativo. Vorrei inoltre
sottolineare che i crediti – 25 punti in tutto, un quarto del totale
del punteggio d’esame - sono divisi in crediti scolastici,
attribuiti nel corso degli ultimi tre anni in base a parametri
relativi al “profitto” dello studente nell’ambito del percorso
educativo e certificati dalla scuola, e crediti “formativi” che sono
invece certificati alla scuola da agenzie formative riconosciute, ma
esterne al percorso disciplinare vero e proprio. Mi sembra improprio
che sia un docente della scuola a certificare una competenza che
viene considerata esterna al percorso disciplinare: così non è, ad
esempio, per chi segue una disciplina sportiva, o un corso di lingua
o di scrittura creativa. Ritengo inoltre che l’esperienza religiosa
non debba dare ex iure diritto ad un punteggio, ma che spetti sempre
al consiglio di classe assegnarlo, nel caso in cui lo stesso
stabilire che essa abbia effettivamente arricchito la personalità
dello studente.
Dobbiamo sottrarre la questione alla logica delle contrapposizioni
ideologiche e affrontare con un laico equilibrio l’arcaica
concezione dell’insegnamento della religione di Stato, insieme con
l’annosa e connessa questione delle scuole paritarie religiose e del
loro impianto educativo. In uno Stato libero, democratico, una volta
fissati con certezza gli obiettivi finali dei percorsi del proprio
sistema educativo, è assolutamente auspicabile la presenza di
progetti educativi diversi e un’offerta formativa articolata e
differenziata. Oggi, grazie all’autonomia scolastica, questo è anche
legittimo. Se un organo giurisdizionale pronuncia una decisione, bisogna rispettarla, pur essendo del tutto legittimo criticarla sul piano culturale, ma non sul piano ideologico, sapendo che l’unica possibilità di riformare la sentenza è il grado di appello della stessa autorità giurisdizionale che la ha pronunciata, ossia il Consiglio di Stato, salvo un intervento normativo che rispetti la gerarchia delle fonti. Ma finché perdura il metodo dell’anatema, dell’approccio e dello scontro ideologico, della sostanziale difficoltà di dialogo tra le diverse posizioni non saà facile risolvere la questione. E’ evidente a tutti che questo pronunciamento del Tar ha smosso le acque su un punto delicatissimo della cultura scolastica. Speriamo che non finisca in una guerra di religione |