L'ora di identità. Obbligatoria

 Marina Boscaino, il manifesto 15.8.2009

«L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»: è il primo comma dell'art. 33 della Costituzione italiana. Ma i principi di libertà di insegnamento e di laicità della scuola dello Stato - apparentemente inderogabili - vengono continuamente sottoposti all'azione strisciante di un clericalismo ossequioso ai dettami del Vaticano, che oggi si incrocia pericolosamente con la deriva xenofoba-razzista cui assistiamo giorno dopo giorno. Del resto fu Berlusconi a scatenare una delle più virulente polemiche internazionali che si ricordino, qualche giorno dopo il crollo delle Torri Gemelle: «L'occidente deve avere la consapevolezza della superiorità della propria cultura ed avviare un processo di crescita per quelle parti del mondo che sono ferme a 1400 anni fa». La convinzione dell'egemonia occidentale - e, in essa, del cattolicesimo - ha caratterizzato la facile ricetta cultural-politica del centrodestra, trovando, a dire il vero, una flebile opposizione da parte di chi avrebbe dovuto difendere principi costituzionali quali uguaglianza, inclusione, laicità. Nella scuola gli effetti dell'asservimento dello Stato italiano alle disposizioni vaticane sono stati macroscopici e incessanti.

Il 15 luglio 2003 la Camera approvò definitivamente la legge sull'immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica, una vera e propria anomalia giuridica e del sistema dell'istruzione statale. I docenti di religione, designati dalla Chiesa, sono stipendiati dallo Stato, secondo il Concordato del '29 e la revisione dell' '84. Gli insegnanti, quindi, sono svincolati dal diritto italiano (ma l'Italia li paga) e sottoposti al diritto canonico. L'insegnamento della religione cattolica, facoltativo, risulta legato alla richiesta di chi si avvale e non al rapporto docenti alunni, che invece rappresenta la mannaia in nome della quale si falcidia il numero di tutti gli altri insegnanti in una continua revisione al rialzo. Al punto che i 125.694 insegnanti di religione cattolica nella scuola dello Stato (per un costo di 800 milioni di euro per il contribuente) sono e saranno gli unici di fatto immuni dai tagli che investiranno la scuola nei prossimi 3 anni, essendo le loro ore intoccate nella generale riduzione dell'orario delle lezioni in classe. Gelmini ha più volte negato il maestro unico, argomentando che c'è anche il maestro di religione: bella consolazione.

«L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti di religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica (...) È diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedono motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi» (Diritto Canonico, canone 805); in caso di deroga ai principi che configurano l'identikit del buon insegnante di religione cattolica - rigorosamente definiti dalla Chiesa - la legge del 2003 ha stabilito che il docente, rimosso dal vicariato perché inadatto (divorziato? Abortista? Addirittura comunista?), vada a coprire con percorso privilegiato (passando in prima posizione nella graduatoria) cattedre delle altre materie, ottenute - dagli altri docenti - tramite concorsi, graduatorie, abilitazioni.

L'ordinanza ministeriale relativa all'Esame di Stato n. 26/07 (esame di Stato, appunto: di uno Stato che non è confessionale) prevedeva che la valutazione in religione contribuisse alla determinazione del credito scolastico: uno dei vari tentativi fatti nel corso degli anni in violazione dell'art. 3 della Costituzione per ossequiare i desiderata del Vaticano.

Come se non bastasse, la Camera dei Deputati il 22 gennaio scorso ha approvato la risoluzione dell'on. Garagnani (Forza Italia, assurto agli onori delle cronache nel 2002 e nel 2005 per aver prima proposto uno sportello per raccogliere nelle scuole "le soffiate" su chi boicottava la politica- Moratti; poi per aver promesso ritorsioni contro chi avesse disatteso la "controriforma") in tema di «salvaguardia della tradizione culturale e spirituale legata al cristianesimo». La risoluzione esordisce con un'ampia difesa della «nostra civiltà», della «nostra tradizione», della «nostra identità» (una parola-chiave buona per ogni tempo: si ricordi la netta opposizione istituzionale in Europa alla richiesta di Giovanni Paolo II di far inserire il concetto di "identità cristiana" nella Costituzione europea) improntate alla fedeltà alla chiesa: «La migrazione extracomunitaria, l'allargamento dell'Unione europea ai Paesi dell'est Europa ed il progressivo dilatarsi di un certo fondamentalismo islamico chiamano in causa l'Occidente, la sua storia e il suo futuro, strettamente legati alla tradizione cristiana, che ne definisce l'essenza e ne è elemento costitutivo; in questo contesto, non può non destare preoccupazione quella sorta di relativismo culturale e di nichilismo etico che, in nome di una presunta tolleranza e rispetto di tradizioni diverse dalle nostre, non sostiene i presupposti della nostra civiltà, e rischia di omologare tutte le culture in un amalgama indistinto in cui la nostra storia, italiana ed europea, perde di valore». Ed ecco che si ribadisce che «l'insegnamento della religione cattolica, basato su un'adesione volontaria dello studente, risponde a un'esigenza religiosa importante ed essenziale, ma distinta da quella eminentemente culturale e laica, che sarebbe opportuno introdurre nella legislazione scolastica e proporre a tutti».

Garagnani «impegna il governo a far sì che nell'ambito dell'autonomia scolastica, e fatta salva la libertà di insegnamento dei docenti, sia reso esplicitamente obbligatorio nelle indicazioni nazionali il preciso riferimento alla nostra tradizione culturale e spirituale, che si riconnette esplicitamente al Cristianesimo». Nella ammiccante relazione di replica del governo si legge che «peraltro la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo, così come le vicende dei rapporti tra Stato e Chiesa, con particolare riferimento all'Italia, già sono oggetto di studio nell'insegnamento della storia sin dalla scuola primaria e rappresentano, trasversalmente, l'asse portante di altri insegnamenti». Quindi, «proprio per questo motivo le indicazioni nazionali relativamente al primo ciclo di istruzione fanno esplicito riferimento al Cristianesimo e stessa cura verrà posta nelle indicazioni nazionali relative al secondo ciclo di Istruzione, proprio al fine di rispondere ad una ineludibile esigenza culturale degli studenti». Ricordo che le Indicazioni Nazionali di Moratti (2003), all'epoca non prescrittive, sono state riesumate da Gelmini: erano quelle caratterizzate dalla centralità dell' «antropologia cristiana» e dimentiche di Darwin e dell'evoluzionismo. Col Concordato dell'84, l'insegnamento della religione cattolica aveva perso la funzione di «coronamento dell'istruzione» riconosciutagli (almeno formalmente) dal regime fascista, per diventare facoltativo. Apparentemente, a quanto pare.