L'ora di religione estorta al premier Franco Cordero, la Repubblica 21.8.2009 Fra due mesi saranno settant'anni: spartita la Polonia tra Hitler e Stalin, continua una drôle de guerre sulle linee Sigfrido e Maginot, dove nessuno spara; Mussolini, uomo della Provvidenza, ateo bestemmiatore ma defensor fidei nella guerra civile spagnola, s'è qualificato «non belligerante», pronto a intervenire appena i Tedeschi vincano; i prudenti sperano che quel gangster paranoico, ex caporale austriaco, stavolta paghi dazio; in mistica fascista Cuneo è la vergogna d'Italia, l'assevera Achille Starace, segretario del Pnf; e noi promossi dal facile esame d'ammissione entriamo nella prima classe d'una moritura scuola d'élite, il ginnasio, sulle cui ceneri nascerà la Media Unica triennale, disegnata dal cattolico razzista Giuseppe Bottai. Il Liceo Silvio Pellico abita ancora nel vecchio convento delle clarisse. L'analisi logica prelude al latino. Scopriamo gli dèi greco-romani. Tiene signorilmente l'ora di religione don G., corpulento contadino precocemente calvo, laureato in matematica. La lettura d'italiano è Massimo d'Azeglio, gli spiritosi Miei ricordi. Impariamo declinazioni e verbi. Qualcuno cambia scuola. In seconda, ancora grammatica, Cornelio Nepote, Telemaco e Ulisse, francese (tedesco nella classe femminile). Il punto debole è la poca matematica ma i provenienti dalla maturità classica (prova erculea, sospesa negli anni della guerra) spesso nelle Facoltà scientifiche superano chi viene dal relativo liceo. L'insegnante buona vede «stoffa da scrittore» nei miei temi. Il terzo anno, sciagurato, ne porta una odiosa, un lutto devastante, De bello Gallico, sintassi latina nella quale m'arrocco, Iliade. In quarta cambia tutto: arriva il greco, studiato meno analiticamente, non essendo prescritta la versione dall'italiano; Ovidio, Tibullo, l'Eneide italiana, letteratura francese, algebra; non perdiamo tempo in storia e geografia. La quinta completa le basi linguistiche. È un bel ricordo il barocco della Gerusalemme liberata. Nei tre anni seguenti (ne salto uno) lo scenario s'allarga: filosofia, storia politica e dell'arte, scienze naturali, matematica e fisica; visitiamo Virgilio, Tacito, Orazio, Cicerone, Omero, lirica greca, Demostene, Sofocle, Divina Commedia, letteratura italiana; ma siccome esco dal liceo ignaro dei Promessi sposi, nella prima maturità del dopo guerra mi raschia il cervello una massima d'ascetismo mazziniano, perché l'altro tema richiama quel virtuoso romanzo storico. Era un exploit riuscire primo in barba all'handicap letterario e lo guasto scegliendo legge, anziché medicina, traviato da cattivi consigli. I voti d'allora in religione non fanno media: sono stereotipi, «molto, molto» (rendimento e condotta), né ricordo interrogazioni; gl'insegnanti adempiono l'ufficio in punta di piedi. Particolare curioso: in cinque anni d'oratorio dei gesuiti credo d'essere l'unico mai ammesso alla congregazione mariana, sebbene prendessi sul serio l'affare religioso, forse troppo; suppongo che i selettori mi ritenessero diverso, quindi refrattario ai loro modelli. L'esodo avviene sine strepitu nella fiabesca estate 1945. Anno Domini 1960, chiamato dalla Cattolica, inauguro il corso di procedura penale nell'aula sant'Agostino: nessuno m'ha chiesto professioni di fede o, meno che mai, giuramenti; vengo da fuori; insegno una materia tecnica, attento al profilo sintattico, e tutto seguiterebbe nella più quieta routine se due anni dopo non mi cadesse in testa anche la filosofia del diritto, vacante. Qualcuno patisce la mia presenza. Gli osservanti sviluppano un'inconsueta fenomenologia delle norme. Genus racconta quel che avverrà. I tessitori hanno acquisito un vescovo: malaccortamente apre le ostilità incappando nella Risposta a Monsignore; e sopravviene l'interdetto dall'insegnamento (quale cattedratico ero inamovibile). Rompe l'afasia il trasloco torinese. Due anni dopo mi chiama la Facoltà romana: evento nemmeno pensabile se dall'oltre Tevere venisse qualche segno negativo; e i sollecitatori non mancano mai. Quel vescovo aveva in sorte un importante futuro, dicono gl'intenditori, stroncato dalla gaffe (accusava gli Osservanti d'usare fonti eterodosse, sicché il lettore intelligente vi perde la fede). Coma cambia la Stimmung. Oggi "relativismo" è parola satanica: tolti Platone e discendenti, diventa tabù la filosofia seria. Un vescovo sans gêne definisce «bieco» l'illuminismo: povero Diderot, caro all'illuminata Caterina, imperatrice delle Russie (è bieca anche soeur Suzanne, malmonacata nella Religieuse?); e la maledizione arriva lontano, a Koenigsberg, folgorando Immanuel Kant che vanta i Lumi. Larghi voti in religione compensano difetti da bocciatura: al diavolo sintassi, filosofia, numeri, scienze; hanno mani lunghe i professori d'ars bene vivendi cattolica (ora in ruolo, è uno dei regali berlusconiani). Fioriscono poteri asinini i cui costi sono già evidenti. Alcide De Gasperi, cattolico severo, difendeva lo Stato dai prelati. Nell'Italia istupidita da un lugubre edonismo, Mater Ecclesia estorce quel che vuole al Supremo Affarista peccatore. Sul come introdurre lo scibile divino nello scuole, Philosophus risponde secco: diventi materia obbligatoria; e non ha in mente una sociologia religiosa, forse utile se non rubasse lo spazio d'insegnamenti più importanti nello stato analfabetico in cui versano tanti poveri figlioli; la materia de qua è il cattolicesimo romano, storia e dottrina; i vescovi difendono l'identità organica degli italiani. Rebus sic stantibus, non verrebbero a insegnarla Ernest Renan, né Alfred Loisy. Immaginiamo questo calendario: lunedì, ore 9, Hume, infernale relativista; segue Lucrezio, ossia fisica e terapeutica epicuree; l'ora di scienze offre un'empia rassegna della paleontologia up tu date; ma a sollievo delle anime chiude la mattina don Cherubino spiegando perché trasciniamo una vita grama, secondo la dottrina del peccato originale da san Paolo ai canoni tridentini, Sessio V, 17 giugno 1546, con happening quando uno scolaro sveglio formula dei rilievi; varrà la pena raccontarlo. |