Ecco la mia vita per 1390 euro al mese. Io prof, in affanno per un anno intero. Marina Boscaino da l'Unità, 8.9.2008 Autostrada del Sole, domenica pomeriggio. Stanca, sono stanca; alzataccia alle 5.30 per raggiungere da Roma Firenze e partecipare all’assemblea dell’associazione «Per la Scuola della Repubblica»: insegnanti autoconvocati che si vedono periodicamente per discutere di scuola. La notizia non mi coglie di sorpresa. Si tratta del leit motiv di questa estate: il ministro dell’Istruzione ha per l’ennesima volta parlato male degli insegnanti. Ho smesso da tempo di idealizzare i docenti della scuola italiana; uno sguardo imparziale penso dia conto dell’ovvia eterogeneità delle figure che popolano il mondo della scuola. Proprio uno sguardo imparziale può però consentire una sterzata realistica ad un immaginario collettivo fagocitato da una irresponsabilità istituzionalizzata. Caccia agli untori: secondo Gelmini e i suoi mentori, gli insegnanti. Tutti o quasi. Categoria di cui io faccio parte. Insieme a tanti come me.
Penso. A domani. Il rito degli scrutini, dopo il
rito degli esami per il recupero del debito: ragazzi con carenze
diffuse ed eterogenee accumulate in più anni sottoposti a corsi
brevi e frammentati, in classi improvvisate, con insegnanti diversi
dal proprio. Penso. A dopodomani. Assegnazione delle cattedre;
collegio docenti. E poi ancora, riunione per materie. E così via,
fino al giorno in cui ci verrà chiesto di rientrare in classe, in
questa estenuante preparazione di inizio settembre. Penso. All’anno
che verrà. Agli anni che sono passati. Sveglia presto, due bambini
da accompagnare in due scuole diverse. Arrivo a scuola, sempre in
orario: non si può chiedere agli studenti di rispettare le regole
quando non le si rispetta per primi. Mattinate rilassate, mattinate
faticose; è una generazione problematica, che chiede attenzione in
un modo a volte nemmeno più tanto originale, purtroppo: tre ragazze
anoressiche su tre classi. Problemi differenti, veri e propri
drammi, intralci di quel passaggio delicato che è l’adolescenza,
fantasia ed emotività imbrigliate in una coercizione che di
educativo ha ormai solo il nome: scuola. Interessarli, incuriosirli
è ogni giorno una sfida contro il tempo e contro le lusinghe del
fuori e le seduzioni del mercato. Fornirgli risposte è una cabala
impietosa, che spesso mette a contatto con la propria inadeguatezza.
Schizzo per andare a riprendere i figli: affamati, stanchi, fucine
di domande. I compiti da fare, le attività pomeridiane da svolgere.
Penso. A una società che ancora viaggia sull’idea che gli insegnanti
lavorino 4 ore al giorno e abbiano 3 mesi di vacanza. Mediamente
torno a scuola 3-4 pomeriggi a settimana. Quando non torno ho
valanghe di lavori da correggere: da sempre i miei studenti liceali
ogni 10 giorni sono chiamati a scrivere un saggio breve, un articolo
di giornale, una relazione. Oltre ai proverbiali compiti in classe.
Ma d’altra parte si sa: a scrivere si impara scrivendo. E discutendo
le correzioni. Su 3 classi, circa 2500 lavori corretti ogni anno. I
risultati si vedono. Ma lo sappiamo io e loro. E adesso voi. Penso:
le commissioni, i progetti, l’investimento sull’innalzamento
dell’obbligo scolastico, il tentativo di riflettere sulle trovate
che ciascun governo ha proposto, che quello seguente ha puntualmente
rimosso. L’aggiornamento, inutile e non riconosciuto (e semmai
boicottato): esercizio di amor proprio, di dignità professionale. Il
rapporto con le famiglie, la ferma volontà di arginare il tentativo
di creare un mercato della scuola e di fare della scuola un mercato:
l’utente non ha sempre ragione. Penso. Il patto scellerato, la
femminilizzazione della professione. Essere mamma e insegnante non è
una cosa facile, quando si è scelto di interpretare la propria
dimensione professionale con dignità intellettuale, culturale,
relazionale. Con dignità politica, in senso ampio. Che è quella che
mi ha consentito in questi anni di essere un’insegnante scrivendo,
partecipando a convegni, riflettendo nella scuola e con la scuola
sulla complessità di un impegno che si concretizza nel formare
cittadini consapevoli, critici, autonomi. Provando a fornire loro
risposte attraverso la declinazione di alfabeti diversi, quali sono
quelli che la complessità ci propone. Ma i miei figli devono essere
ripresi, raggiunti, riportati a casa. È bello trovare un po’ di
tempo per parlare con loro, ancora un po’. C’è la cena da preparare,
la casa da sistemare. La critica su Ariosto merita di essere
rivista, per individuare chiavi di lettura alternative a quelle
proposte negli anni precedenti; il brano di Tacito riguardato nei
suoi passaggi fondamentali. Lo faccio per me, lo faccio per loro, i
miei liceali. Il 5 in condotta non sarà un mio problema. Ma intanto
so che a Torino qualcuno si sta preoccupando di reperire strumenti
adatti - cultura di massa, film, formazioni di calcio - per
coinvolgere quelli che lì chiamano «truzzi», qui a Roma «coatti»: a
Palermo, a Napoli, a Milano - universalmente - gli «sfigati», che la
scuola può salvare da dispersioni non solo scolastiche, ma
esistenziali. Penso: ho ancora una cesta di panni da stirare. Vado a
letto, ministro: a rimuginare sul senso di tutto ciò e sul fatto che
- per 1390 euro al mese - sono stanca di essere insultata. |